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Il ministro Orlando e il premier Gentiloni hanno giurato che la riforma del carcere si farà. Dopo 40 anni. Hanno fornito una data: giovedì prossimo.
Esiccome abbiamo spiegato in vari modi perché il governo non troverà mai il coraggio per sfidare i reazionari e i giustizialisti e per varare la riforma, siamo costretti - con molta gioia - a ricrederci. Questo è uno dei casi nei quali la promessa vale, perché è proprio la promessa la cosa più difficile. Il partito principale di governo, e cioè il Pd, sa che la riforma carceraria è una sfida a una parte del mondo politico. E cioè a quello schieramento abbastanza vasto, e forse maggioritario, che va dalla destra di Fratelli d’Italia e della Lega, alla robusta pattuglia dei 5Stelle, a settori di Forza Italia, e forse si spinge a sinistra a lambire qualche settore di Leu. E soprattutto è una sfida molto ardita a tutto lo schieramento dell’informazione populista: dal Fatto Quotidiano, a Libero, alla Verità a una parte consistente del mondo televisivo, al web. E infine è una sfida, davvero coraggiosa, a un pezzo di magistratura, quella più aggressiva e più legata al mondo dell’informazione e dello spettacolo.
Nei giorni scorsi alcuni giornali, in particolare Libero e Il Fatto, avevano iniziato a sparare un fitto fuoco di sbarramento preventivo. Parlando di decreto svuotacarceri, e intendendo con questa parola un qualcosa di molto simile ad un abominio, fatto e pensato per riempire le nostre città di criminali. Lasciando capire che se i signori del Pd dovessero davvero, pochi giorni prima delle elezioni, varare il decreto, si troverebbero al centro di una campagna feroce che, ragionevolmente, costerebbe loro la perdita di diversi punti in percentuale nelle urne.
Per questo dico che la promessa, stavolta, conta molto. Se Orlando e Gentiloni ( immaginiamo con il consenso di Renzi) hanno deciso di fare il passo e di dichiarare che loro la riforma la vogliono, e che la faranno, vuol dire che hanno deciso - smentendo la nostra previsione - di correre un rischio sul piano elettorale allo scopo di compiere un’opera di civilizzazione del nostro paese. Non è una cosa molto frequente in politica. Almeno, non lo è da parecchi anni.
Non dovete pensare che questa riforma del carcere sia la fine del mondo. Non pensate che sia una meraviglia e una grande costruzione liberale e libertaria. Non è così. È una riforma modesta, però è una buona riforma e permette un miglioramento significativo nella nostra situazione carceraria e nei sistemi di esecuzione della pena. Dopo 40 anni di immobilità nel corso dei quali in Italia si sono alternati - se non ho sbagliato i conti - 33 governi, 18 presidenti del Consiglio e 25 ministri della Giustizia, finalmente è arrivato un governo che ha osato, che si è esposto, e che ha riformato in senso garantista il sistema delle carceri. Secondo me questa riforma è la più importante riforma realizzata in questa legislatura.
Perché allora è così osteggiata dai gruppi e dai giornali giustizialisti? Per una ragione molto semplice: perché consegna all’opinione pubblica un segnale in netta controtendenza. Dice: la Costituzione esiste, è viva, ha dei solidi e sani principi, e va applicata. E il nostro sistema Giustizia si fonda su un sistema di pene umano, non ispirato alla ferocia e alla vendetta, ma al principio della rieducazione del condannato. E in nessun caso ammette pene inutili o superiori al necessario, o crudeli. Più o meno sono i principi affermati da un grande intellettuale italiano alla fine del 700 e che poi furono accettati in tutto il mondo. Quell’intellettuale, lo sapete, si chiamava Cesare Beccaria.
Il valore della decisione del governo sta tutta qui. Nell’aver ripreso un discorso di difesa e di sviluppo dello Stato di diritto che si era interrotto da troppo tempo. Le nostre carceri da molti anni sono in una situazione di illegalità, il loro funzionamento è in violazione aperta e clamorosa della Costituzione e dello Stato di diritto. La riforma serve a questo: a ridurre almeno un po’ la distanza tra realtà carceraria e Costituzione.
Dicono gli avversari della riforma: «Svuoterà le carceri, è una follia». Naturalmente non è vero. La riforma si limita ad aumentare la possibilità di trattare con pene alternative al carcere i condannati per reati minori. In ogni caso è molto triste che nel 2017, in un paese liberale e colto come l’Italia, esista una parte consistente dell’intellettualità che si straccia le vesti all’idea che si possa ridurre la popolazione carceraria. È inutile che ce lo nascondiamo: quando Erdogan cala il pugno di ferro sui suoi nemici, e inzeppa le celle delle sue prigioni, noi ci indignamo tutti, si. Ma poi molti di noi la sognano una società un po’ erdoganizzata…
P. S. Se questa riforma passerà, naturalmente va dato merito al Pd e al governo. Però anche ad alcuni coraggiosi esponenti di partiti di opposizione che si sono schierati a favore ( l’altro giorno abbiamo pubblicato un articolo di Renata Polverini) mettendo da parte i calcoli di bottega. E poi va dato merito a gran parte dell’avvocatura italiana, che si è battuta per la riforma. E a quelli del partito radicale, a partire da Rita Bernardini, che è a digiuno da un mese, insieme a molti altri militanti. E soprattutto va dato merito ai diecimila detenuti che hanno partecipato allo sciopero della fame dei radicali. E infine ai pochissimi intellettuali che hanno avuto il coraggio di aderire a questa battaglia e che hanno provato a rompere il muro di una intellighenzia burocratica e conformista che considera il problema del carcere una quisquilia per avvocati o per gente stravagante.