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PALAZZO DELLA CONSULTA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale si è espressa sulla riforma civile dell’ex ministra Marta Cartabia in riferimento al processo ordinario di cognizione. Un intervento auspicato dall’avvocatura già nei mesi scorsi. Con la sentenza n. 96, depositata ieri, la Consulta si è pronunciata dopo che il Tribunale ordinario di Verona (sezione prima civile) aveva sollevato alcune questioni di legittimità costituzionale, relative alle verifiche preliminari indicate dall’articolo 171-bis del codice di procedura civile, che si intersecano con il potere di direzione del processo del giudice.
Il giudice delle leggi ha avuto come punti di riferimento gli articoli 3, 24, 76 e 77 della Costituzione. L’articolo del codice di rito prevede, nell’ambito della nuova disciplina del processo ordinario di cognizione, l’emanazione di un decreto di fissazione dell’udienza da parte del giudice, prima del deposito delle memorie illustrative delle parti e della comparizione delle stesse. Attraverso tale decreto, il giudice, prima dell’udienza stessa e senza sentire le parti, decide in merito alle “verifiche preliminari”, concernenti, tra l’altro, la sussistenza del potere rappresentativo, la ritualità delle notifiche, l’integralità del contraddittorio, la chiamata in causa di terzi.
L’analisi della Consulta parte dall’articolo 76 della Costituzione sulla funzione legislativa. Secondo la Corte Costituzionale, non è fondata la denunciata violazione di delega poiché le “verifiche preliminari” (indicate dall’articolo 171-bis del codice di procedura civile), compiute dal giudice nella fase iniziale della controversia sono riconducibili alla finalità di realizzare la concentrazione processuale “nell’ottica della ragionevole durata del processo”.
Rispetto all’articolo 3 della Costituzione, sulla pari dignità sociale e uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, la Corte ha escluso una ingiustificata disciplina differenziata nell’ambito delle questioni rilevabili d’ufficio con il decreto di fissazione dell’udienza, tra quelle che il giudice può decidere, già in tale decreto, e quelle che lo stesso giudice si limita a segnalare alle parti stesse, affinché possano trattarle già nelle memorie di cui all’articolo 171-ter c.p.c.
In merito alla denunciata violazione dell’articolo 24 della Costituzione, ipotizzata sotto il profilo dell’attribuzione al giudice del potere di emanare provvedimenti fuori udienza e senza alcun contraddittorio preventivo con le parti, la Corte ha considerato non fondata la questione con una precisazione molto significativa: occorre fornire un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.
Proprio sul tale interpretazione adeguatrice, la Consulta ha sottolineato l’importanza del contraddittorio “quale primaria e fondamentale garanzia del giusto processo” che “chiama in causa non solo la dialettica tra le parti nel corso del processo, ma riguarda anche la partecipazione attiva del giudice”. Quest’ultimo, rispetto ai poteri di direzione del processo, previsti dall’articolo 175 del codice di procedura civile, può fissare un’udienza ad hoc nel caso in cui emerga l’esigenza di interloquire con le parti sui provvedimenti da assumere all’esito delle “verifiche preliminari”.
Inoltre, se il giudice intende adottare direttamente il decreto, la parte che non condivide il provvedimento emesso deve poter richiedere la fissazione di un’udienza per discuterne in contraddittorio, onde evitare una successiva regressione del procedimento. Con questa udienza, se il giudice ritiene di fissarla, si realizza il contraddittorio delle parti prima dell’udienza di comparizione e trattazione della causa. Il diritto di difesa, dunque, non viene compresso o peggio compromesso. La Consulta ha evidenziato come il decreto di cui all’articolo 171-bis c.p.c., senza la fissazione di un’udienza ad hoc, può essere oggetto di discussione all’udienza di comparizione alla presenza delle parti. Dopo questa udienza, i provvedimenti assunti con decreto, vagliate le ragioni delle parti, possono avere esiti diversi, nel senso che possono essere confermati, modificati o revocati con ordinanza del giudice.
Infine, la Corte Costituzionale ha rilevato che, se la parte aveva chiesto, senza esito, la fissazione di un’udienza per interloquire con il giudice sui provvedimenti emanati con il decreto di cui all’articolo 171-bis c.p.c. non può essere posta a carico della stessa alcuna conseguenza processuale pregiudizievole (si pensi all’estinzione del processo), nel caso in cui la stessa parte non si sia conformata a tale provvedimento confidando nella possibilità di argomentare le proprie ragioni nel contraddittorio delle parti. Come conseguenza potrebbe esserci un allungamento dei tempi processuali, ma l’esigenza di rapidità non può pregiudicare la completezza del sistema delle garanzie della difesa e comprimere oltre misura il contraddittorio tra le parti, atteso che “un processo non giusto, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata”.
Il Consiglio nazionale forense, nelle numerose interlocuzioni avute e nelle audizioni svoltesi davanti alle commissioni Giustizia, ha sempre offerto proposte concrete per superare alcune criticità della riforma del processo civile. Il consigliere Alessandro Patelli, coordinatore della commissione Diritto civile e procedura civile del Cnf, si sofferma sui suggerimenti forniti dall’avvocatura istituzionale. Tra questi, spiega l’avvocato Patelli, quello di un «correttivo che prevedesse un meccanismo di contraddittorio anticipato, cioè un'udienza ad hoc da fare anche in via telematica o dei termini per uno scambio di memorie sulla singola questione che si sta decidendo in modo da realizzare il contraddittorio».
La sentenza della Corte Costituzionale, secondo Patelli, «letta ora rinforza il nostro orientamento espresso alle commissioni parlamentari con il suggerimento fornito al legislatore di adottare un correttivo affinché si prevedesse un meccanismo di contraddittorio prima che il giudice andasse a decidere le questioni previste dall'articolo 171-bis del codice di procedura civile».