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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia
Articolo 495, comma 4- ter del codice di procedura penale: “Se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell’esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze”. È questa novità della riforma Cartabia in vigore da ieri il nuovo pomo della discordia tra Anm e ministero della Giustizia. Secondo la giunta esecutiva centrale del sindacato delle toghe, la nuova norma «avrebbe imposto la tempestiva adozione di soluzioni tecnologiche adeguate» che al momento non sono disponibili.
Facciamo un passo indietro: fino al 2019 l'avvocato poteva chiedere la rinnovazione dell'esame testimoniale dinanzi al nuovo giudice, il quale era obbligato a disporla. Questo perché era ritenuto fondamentale consentire la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale, emersi durante l'esame e il controesame. Invece a seguito della sentenza Bajrami ( 41736/ 19) delle Sezioni Unite della Cassazione, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale avrebbe dovuto essere disposta caso per caso dal giudice sulla base di una valutazione personale.
Quest’ultima decisione con la Cartabia viene superata, perché torna il diritto di riottenere l’esame testimoniale se cambia il giudice, a meno che esso non sia stato videoregistrato. Se però il nuovo giudice ritiene necessario, sulla base di specifiche esigenze - ad esempio quella di dover porre lui stesso delle domande al testimone - anche in presenza di videoregistrazione, potrà chiedere di riascoltarlo.
Fatta questa premessa di scenario, si legge in una nota della Gec, che «la direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del ministero della Giustizia – Dgsia – si è limitata a comunicare, qualche giorno fa, che nel “breve termine” si dovrà fare ricorso al sistema Teams – i cui limiti sono stati ampiamente sperimentati nel periodo di emergenza sanitaria –, il che costringerà gli operatori del processo ad improbabili acrobazie che, con tutta la buona volontà, non riusciranno ad assicurare un servizio efficiente». L’Anm quindi denuncia il fatto che «in mancanza di strumentazione idonea e di costante ausilio tecnico nelle aule di udienza, sarà pressoché inevitabile il ricorso alla verbalizzazione tradizionale, con la conseguenza di dover procedere a rinnovazione dell'istruttoria in tutti i casi di mutamento del giudice». Le toghe sottolineano come sia «quasi superfluo evidenziare l'incongruenza di una simile evenienza con gli sforzi che si stanno compiendo per il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr, e in specie per la riduzione dei tempi dei processi penali» e chiedono che «si differisca l'entrata in vigore della nuova disposizione codicistica» . Fonti di via Arenula ci fanno sapere che al momento il differimento non è all’ordine del giorno, in quanto «stiamo verificando in concreto la situazione degli uffici».
Secondo Giovanna Ollà, avvocato penalista e segretario del Consiglio nazionale forense, «il problema posto dall’Anm in merito alle problematiche connesse alla carenza degli strumenti di videoregistrazione non riguarda oggi il ministro Nordio, ma deriva dell’accelerazione data dalla riforma Cartabia ai processi di informatizzazione degli uffici giudiziari, probabilmente senza fare i conti con la necessità ( preventiva) di implementazione delle strutture informatiche che sarebbero state e sono necessarie anche in vista del raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. Ma questo vale per tutti gli ambiti: basta ricordare la preoccupazione manifestata dal Cnf per i primi approcci al processo penale telematico intervenuti nel periodo della emergenza sanitaria ed in ragione di questa, con enormi difficoltà degli avvocati e non solo, catapultati in una realtà pressoché sconosciuta senza neppure aver avuto il tempo di dotarsi di una adeguata formazione. Quindi la criticità è e resta a monte».
Più critico il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza, che innanzitutto ci dice «di non conoscere i dettagli dell’incontro avuto tra Anm e ministero della Giustizia su un tema delicatissimo che per la verità meriterebbe di vedere tra gli interlocutori innanzitutto gli avvocati penalisti. Sul tema del mutamento del giudice in corso di processo la riforma Cartabia ha avuto il grande merito di ristabilire almeno i principi fissati dalla Corte costituzionale rispetto alla inaccettabile giurisprudenza delle Sezioni Unite. Qualunque pretesa di interferire anche solo temporaneamente su questo recupero dei principi costituzionali vedrà l’avvocatura penalista scendere in campo con grande determinazione». Questa modifica operata dalla Cartabia era stata fortemente voluta dall’Ucpi, che avrebbe voluto però anche qualcosa in più, ovvero che la videoregistrazione fosse resa pubblica durante l'udienza con le parti. Non essendo previsto un obbligo nella normativa attuale, non esiste tuttavia la certezza che il giudice guardi la videoregistrazione in camera caritatis. In realtà qualche giurista sostiene che interpretando la norma in un certo modo si possa chiedere la riproduzione della videoregistrazione in aula con le parti presenti. Un’altra proposta avanzata dalle Camere penali era quella di adottare con autonomo provvedimento legislativo, avente il carattere dell'urgenza, interventi modificativi a livello di ordinamento giudiziario che imponessero che il giudice potesse cambiare sede solo quando ha esaurito il ruolo delle cause già iniziate, come già previsto in una circolare del Csm, ma mai applicata sostengono i penalisti.