Mimmo Lucano resta al suo posto. Il Consiglio comunale di Riace ha respinto questa sera la richiesta di decadenza arrivata dalla Prefettura di Reggio Calabria su input del Viminale. A pesare sulla decisione dell’assemblea – votata con un solo astenuto e tre assenti tra le file dell’opposizione – il dato giuridico: la condanna definitiva a 18 mesi per falso, con pena sospesa, non rientra tra i casi previsti dalla legge Severino. Nonostante tutto, la macchina amministrativa si era già messa in moto. Ma senza una base.

La norma richiamata – l’articolo 10, lettera d) del decreto legislativo 235 del 2012 – prevede la decadenza per chi riporti una condanna superiore a sei mesi per reati commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri connessi alla funzione pubblica. Due elementi da dimostrare entrambi. E che, nel caso Lucano, non ci sono.

A dirlo non è solo la difesa, ma i giudici stessi. Nessun riferimento a una condotta dolosa nella sentenza d’appello, che ha cancellato sette anni di accuse e lasciato in piedi una sola contestazione, riferita a una delibera ritenuta falsa per il tentativo – mai riuscito – di ottenere il rimborso delle spese già sostenute dal Comune per l’accoglienza. Una vicenda che la Cassazione ha chiuso senza un accenno ad abuso o violazione di doveri. L’interdizione dai pubblici uffici, prevista in primo grado, è stata dichiarata inefficace. Il resto è evaporato.

Ma il Viminale ha comunque chiesto l’intervento del Consiglio comunale, esercitando quella discrezionalità che la norma consente, ma che nel merito non trova fondamento. E infatti – aveva spiegato al Dubbio l’avvocato Andrea Daqua – «l’accertamento sulla condotta penalmente rilevante spetta solo al giudice penale». Lo ha ribadito lo stesso ministero dell’Interno in un parere del 2020. Nessuna deroga. Nessuna valutazione di merito che possa bypassare il giudice.

La Corte d’Appello ha escluso «categoricamente» che il reato di falso sia stato commesso con abuso di potere o violazione dei doveri. In più, non è stata applicata alcuna pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici, neppure quella prevista dall’articolo 31 del codice penale, che scatterebbe in caso di reati commessi con abuso della funzione.

Quella del Viminale è apparsa dunque a molti come una forzatura. Una mossa politica, più che giuridica. Un altro round – l’ennesimo – di una guerra combattuta anche nelle aule di giustizia contro il “modello Riace”. Un sistema d’accoglienza diventato scomodo. E che continua ad agitare i fantasmi di chi preferisce chiudere le porte piuttosto che aprirle.

La vicenda, ovviamente, non è da dirsi chiusa. La Prefettura di Reggio può attivare l'azione popolare in base all'articolo 70 del Testo unico degli enti locali, con un ricorso al giudice civile davanti al quale Lucano potrà opporsi.

Lucano, oggi anche europarlamentare di Avs, ha già annunciato la volontà di resistere a qualsiasi tentativo di defenestrarlo, dicendosi pronto a difendersi in qualsiasi sede e confortato dalle interpretazioni della legge Severino. Norma che, tra l’altro, proprio la maggioranza di governo vuole depotenziare. «Ringrazio sentitamente la maggioranza del Consiglio per il suo sostegno; essa ha serenamente riconosciuto ciò che è palese a tutti gli esperti di diritto amministrativo a cui ci siamo rivolti: l’applicazione della legge Severino, nel mio caso, non può essere attuata – ha dichiarato Lucano -. A parte il fatto di essere stato condannato senza aver recato danno a persone, cose o patrimoni, la Corte d’Appello di Reggio Calabria prima, e definitivamente la Cassazione in seguito, hanno dimostrato che ciò che mi è stato contestato non rientra minimamente nei casi in cui la suddetta legge si possa applicare. A noi sembra chiaro che l'intento del ministero dell’Interno sia abbattere, con il feroce formalismo burocratico a cui si aggrappa la destra quando non ha altri mezzi per distruggere, un’esperienza più che ventennale d’accoglienza, integrazione e sviluppo locale, la quale ribalta di 180 gradi l’ottusa propaganda di odio sulla quale il nostro governo specula per fini elettorali. Spero che la vicenda della legittimità della mia posizione di sindaco si chiuda qui; nel caso non sarà così, la difenderò in tutte le sedi giudiziarie, e finanche di fronte al presidente della Repubblica Mattarella. Riace – ha concluso – continuerà a dimostrare che un mondo di pace, libertà, crescita armoniosa, e rispetto per la dignità di tutte e tutti, può esistere. Basta volerlo veramente».

Dietro l’ennesimo tentativo di silenziare Lucano, resta la condanna di un sistema giudiziario che per anni ha inseguito un’ipotesi rivelatasi infondata: un’associazione a delinquere costruita attorno a un’idea di solidarietà. Il tribunale, però, non ha trovato né soldi spariti né potere abusato. Solo un sindaco che aveva provato a far funzionare l’accoglienza. E che, nonostante tutto, continua a pagare il prezzo di quella scelta.