Se n’è andato nel primo giorno di primavera Habashy Rashed Hassan Arafa, 52 anni, egiziano, arrivato in Italia il 19 ottobre 2021 a bordo di un’imbarcazione sbarcata a Roccella Jonica e considerato dalla legge italiana uno scafista. Un’accusa infondata, secondo Domenico Lucano, europarlamentare Avs e sindaco di Riace, che ha accolto l’uomo - affetto da un tumore al pancreas al quarto stadio - per gli ultimi giorni della sua vita. Hassan - per tutti, a Riace, Ahmed -, detenuto nel carcere di Arghillà a Reggio Calabria, aveva più volte dichiarato di stare male soltanto a gennaio scorso, a poche settimane dal fine pena, è stato finalmente sottoposto a una tac, che ha fatto emergere il tumore ormai senza speranza. A febbraio 2025, dunque, il magistrato di sorveglianza ha certificato la sua incompatibilità con la detenzione carceraria e Hassan è stato scarcerato. Da Reggio Calabria è stato trasferito nel reparto di oncologia dell’ospedale di Locri, che ha poi contattato Lucano per garantire ad Hassan la terapia del dolore in un luogo che potesse accoglierlo in maniera dignitosa, ovvero Riace, che ha aperto le porte del Villaggio Globale di Riace.

«Una notizia triste - ha commentato Lucano su Facebook -, il mio amico Hassan ci ha lasciati per sempre. Ha finito di soffrire. Gli ultimi giorni della sua vita tormentata li ha passati a Riace accolto nel Villaggio Globale». Un uomo «in fuga dagli orrori delle guerre», ha sottolineato, «semplicemente un uomo innocente dal volto leale, bello, un combattente per la libertà, un eroe sconosciuto dei nostri tempi assurdi dominati da odio, guerre, fascismi e genocidi in cui si proteggono i torturatori di bambini con le mani sporche di sangue».

Il 28 marzo Lucano proporrà al Consiglio comunale di conferire la cittadinanza onoraria per l’uomo, che verrà seppellito nel cimitero di Riace, già orientato a est come richiede la religione musulmana. Lucano, però, ora promette battaglia. «Denunceremo alla Corte penale internazionale questa vicenda», aveva chiarito giorni fa al Dubbio, quando la situazione appariva ormai disperata. Un malato terminale tra gente che ha scelto di aiutarlo, ma senza alcuna esperienza nel campo dell’assistenza, tra dolori atroci, morfina e un destino ormai segnato. A Riace Hassan ha finalmente potuto parlare la sua lingua, grazie alla presenza di immigrati in grado di comprenderlo e tradurre le sue parole dall’arabo.

Il 7 marzo, in quella che avrebbe dovuto essere la data della sua scarcerazione, Mimmo Lucano si è recato al carcere di Arghillà con il suo avvocato Andrea Daqua per comprendere l’iter che ha segnato il destino di Hassan. «Com’è possibile che solo a gennaio 2025 abbiano iniziato a occuparsi delle sue condizioni, quando ormai il tumore era in fase terminale?», ha chiesto Lucano. Un interrogativo che pesa sulle istituzioni e su un sistema penale che troppo spesso dimentica l’umanità dei detenuti. «Ahmed mi ha raccontato di aver detto più volte di non sentirsi bene, ma non parlando l’italiano, nessuno lo ha capito», ha spiegato Lucano. «Mi è stato detto che quest’uomo non si lamentava mai, ma la verità è che la sua malattia è stata ignorata troppo a lungo». Il dirigente medico, stando a quanto riferito da Lucano, «avrebbe insistito tante volte per farlo ricoverare. Non si capisce perché non lo abbiano fatto ricoverare prima».

Daqua, al Dubbio, ha spiegato di aver acquisito le cartelle cliniche e di attendere, ora, tutta la documentazione relativa all’iter giudiziario, durante il quale Hassan è stato assistito di fiducia dall’avvocato Antonello Enrico Chindamo. Hassan era stato identificato da due migranti egiziani, che hanno raccontato di un viaggio durato quattro giorni, senza soste, con difficoltà dovute al mare agitato e ai forti venti, su una bagnarola dove stavano strette 297 persone. I due hanno raccontato che il peschereccio era stato pilotato per l’intera durata del viaggio da un uomo esile, con i baffi, che poi hanno riconosciuto senza esitazione in una foto di Hassan. L’uomo si è sempre dichiarato innocente, spiegando di essere un semplice passeggero. Ma ad avvalorare la tesi della procura di Locri il fatto di essere in possesso di un passaporto nautico che attestava la sua competenza nella navigazione. Insomma, la sua potrebbe essere la classica storia di chi, dopo aver pagato migliaia di dollari per partire - Hassan aveva dichiarato di averne versato 10mila - viene poi abbandonato sulla nave a cavarsela da solo, con l’onere di portare in salvo tutti.

«Hassan era una persona molto buona, molto intelligente. Sono davvero affranto. Negli ultimi mesi, quando ormai gli restava solo l’ultimo semestre da scontare - ha spiegato Chindamo al Dubbio, - non mi aveva mai manifestato problemi di salute rilevanti, se non qualche disturbo ai denti negli ultimi tempi. Dato il numero elevato di detenuti da seguire, lo incontravo circa ogni due settimane, ma mai ho avuto l’impressione che la situazione fosse così grave. Sono stato avvisato dal carcere di Arghillà del ricovero in ospedale – che era avvenuto il 15 gennaio – giorno 18 gennaio. Dopodiché sono rimasto molto sorpreso quando l’ospedale mi ha chiamato informandomi del quadro clinico, una forma tumorale molto aggressiva e credo dal decorso molto rapido. Leggendo poi la documentazione medica ho capito che la sua situazione era estremamente grave. L’ospedale ha poi informato il Tribunale di Sorveglianza, che il 25 febbraio ha disposto, correttamente, il differimento della pena». Purtroppo, però, per Hassan il tempo fuori dal carcere è trascorso velocemente e tra atroci dolori, fino a questa mattina. Chindamo si è detto ora disponibile a verificare, per conto della famiglia, eventuali responsabilità in merito al trattamento sanitario di Hassan all’interno del carcere.

«Hassan aveva tutti i criteri per chiedere asilo politico, ma è stato arrestato», ha spiegato ancora Lucano. La storia di Hassan si inserisce in un contesto più ampio rispetto a quello delle condizioni degradanti nelle carceri italiane: quello della criminalizzazione della migrazione. Il suo caso non è isolato. Sempre più spesso, infatti, i migranti giunti in Italia dopo viaggi disperati vengono arrestati con l’accusa di essere scafisti, vittime di un sistema che inasprisce le pene per chiunque sia sospettato di aver facilitato l’ingresso di stranieri. L’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione, ulteriormente irrigidito dal “Decreto Cutro” - finora rimasto senza applicazione concreta -, ha portato infatti a numerosi arresti e condanne sommarie, spesso senza prove adeguate. A rilanciare il caso in parlamento la senatrice di Sinistra italiana Ilaria Cucchi, che ha annunciato una interrogazione ai ministri della Giustizia e della Sanità. «Immaginate di essere costretti a passare cinque anni della vostra vita senza essere capiti da nessuno. E non cinque anni “come gli altri”, ma cinque anni in cui le vostre condizioni peggiorano fino a trasformarsi in un tramonto irreversibile, senza che nessuno intorno a voi faccia qualcosa per farvi stare meglio. Ne sono sicura, cerchereste una risposta. Vorreste sapere “com’è stato possibile?” - si è chiesta Cucchi. - Il personale della struttura avrà pensato che non dicesse sul serio, che cercasse solo un espediente per uscire. Poi il suo aspetto è cambiato, Ahmed non era più lo stesso. A gennaio, finalmente, è stato visitato. Ma era troppo tardi. È tornato in libertà con un tumore al pancreas al quarto stadio, non si può curare. Questa è la storia di Ahmed, ma è anche la storia di come la nostra democrazia muore ogni giorno nelle carceri e nei Cpr. È la storia del nostro razzismo, dell’indifferenza che ha pervaso tutte le nostre istituzioni, ormai sorde alle grida dei più deboli. Ho sentito Mimmo pochi giorni fa: oggi portiamo avanti un impegno comune per individuare i responsabili della sua sofferenza. I mandanti politici sono più che chiari, certo. Sono quelli del pacchetto sicurezza, dei porti chiusi eccetera eccetera. Quello che è successo merita però una spiegazione dallo Stato, a partire dai ministeri della Giustizia e della Sanità. Ci devono dire com’è stato possibile. Per questo, ho presentato un’interrogazione parlamentare rivolta proprio a loro. Pretendo una risposta».