La Corte di Cassazione ha emesso una significativa sentenza che fa chiarezza sui confini tra pena illegale e pena illegittima, stabilendo importanti principi in materia di esecuzione penale. La decisione, depositata con il numero 38848/ 2024, affronta il delicato tema dei poteri del giudice dell'esecuzione nella correzione delle pene che superano i limiti stabiliti dalla legge. Al centro della vicenda giudiziaria c'è il ricorso presentato da Antonio Iaccarino contro un'ordinanza del Tribunale di Genova del 24 aprile 2024. Il caso nasce da un provvedimento della Corte d'Appello di Genova che, nel luglio 2021, aveva determinato una pena complessiva di 7 anni e 3 mesi di reclusione, oltre a 1.500 euro di multa, per un reato continuato.

Secondo il ricorrente, questa pena violava il limite massimo previsto dall'articolo 81 del codice penale, che stabilisce come tetto il triplo della pena prevista per la violazione più grave. Nel caso specifico, la pena base era stata fissata in 1 anno e 10 mesi di reclusione. Applicando il limite del triplo previsto dalla legge, la pena massima avrebbe dovuto essere di 5 anni e 6 mesi, ben al di sotto dei 7 anni e 3 mesi effettivamente comminati. Il Tribunale di Genova, chiamato a pronunciarsi sull'incidente di esecuzione, aveva però respinto la richiesta di rideterminazione della pena, sostenendo che l'errore, contenuto in un provvedimento ormai definitivo, non fosse più correggibile.

La Suprema Corte ha invece accolto il ricorso, affermando un principio di grande importanza: quando una pena inflitta a un condannato è ingiusta o illegittima, il giudice che si occupa dell'esecuzione della pena ha il potere e il dovere di intervenire, anche se la sentenza che l'ha stabilita è ormai definitiva. La Corte ha chiarito che esistono due tipi principali di errori che possono rendere una pena ingiusta: la pena illegale e la pena illegittima. La pena illegale è una pena che non è prevista dalla legge: può essere illegale per il tipo di sanzione (ad esempio, una multa al posto della reclusione), per la durata (troppo lunga o troppo breve), o semplicemente perché non esiste nel nostro ordinamento giuridico. La pena illegittima, invece, è prevista dalla legge, ma è stata applicata in modo sbagliato: potrebbe essere il risultato di un errore di calcolo, di una motivazione poco chiara o di un'interpretazione errata della legge.

In entrambi i casi, la Corte ha stabilito che il giudice dell'esecuzione può e deve correggere l'errore, anche se la sentenza è ormai definitiva. Questo significa che la giustizia può essere fatta anche dopo la conclusione del processo, garantendo che nessuno subisca una pena ingiusta.

La distinzione non è meramente teorica. Mentre la pena illegale può essere sempre corretta dal giudice dell'esecuzione, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, la pena illegittima può essere contestata solo attraverso i normali mezzi di impugnazione entro i termini previsti dalla legge. Nel caso Iaccarino, la Cassazione ha stabilito che il superamento del limite del triplo della pena base nel reato continuato configura un'ipotesi di pena illegale, in quanto viola un limite quantitativo inderogabile stabilito dall'articolo 81 del codice penale. La decisione si basa su un principio costituzionale fondamentale: la legalità della pena, che deve essere rispettata non solo al momento della sua irrogazione ma anche durante tutta la fase esecutiva. Come sottolineato dalla Corte, questo principio si lega strettamente all'articolo 27 della Costituzione, che stabilisce la finalità rieducativa della pena.

Il caso è stato rinviato al Tribunale di Genova per un nuovo giudizio. I giudici di merito dovranno ora riesaminare la questione alla luce dei principi stabiliti dalla Cassazione, procedendo verosimilmente a una rideterminazione della pena entro i limiti legali del triplo della sanzione base. La sentenza fornisce una guida chiara ai giudici dell'esecuzione sui loro poteri di intervento in materia di pene illegali. Conferma inoltre l'orientamento della Suprema Corte verso una sempre maggiore tutela del principio di legalità della pena, anche nella fase esecutiva del processo penale.