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Giornata da dimenticare per la maggioranza di governo, spaccata per ben due volte nel giro di poche ore sul finanziamento a Radio Radicale e sugli incarichi Rai di Marcello Foa.
Il calvario giallo- verde comincia alle otto del mattino in commissione Vigilanza, dove i parlamentari sono chiamati a esprimersi sul doppio incarico a Foa, presidente di Viale Mazzini, recentemente nominato a capo anche di Rai Com, la società che gestisce la distribuzione e la commercializzazione dei programmi Rai all'estero. All’ordine del giorno ci sono le proposte di risoluzione del doppio incarico, un’anomalia «senza precedenti nella storia» della Tv pubblica, secondo il Pd.
Sulla carta, il voto in commissione dovrebbe essere una formalità, con il M5S pronto a sostenere l’emendamento presentato dal capogruppo della Lega, Massimiliano Capitanio, che consentirebbe a Foa di mantenere la doppia carica senza compenso per la presidenza di Rai Com. Ma qualcosa non va per il verso giusto e il meccanismo si inceppa. Prima i grillini litigano tra loro in ascensore, poi discutono animatamente con i colleghi salviniani, rimproverando agli alleati uno scarso coordinamento sul testo firmato da Capitanio.
I Cinquestelle vorrebbero inserire un invito all’azienda a risolvere l'incompatibilità ma i leghisti non hanno alcuna intenzione di assecondarli. Risultato: la riunione inizia con venti minuti di ritardo, prima di essere definitivamente sciolta per mancanza di numero legale.
Ma se nel caso di Foa la frattura di maggioranza è ancora sanabile, su Radio Radicale M5S e Lega hanno scelto strade differenti. E per la prima volta il governo va sotto nelle commission Bilancio e Finanze della Camera, dove passa un emendamento del dem Roberto Giachetti, col sostegno del Carroccio: tre milioni di euro entro il 2019, che per ora mettono al sicuro il futuro dell’emittente.
Il testo è stato riformulato su proposta della Lega, fanno sapere dal Pd, ed è stato sostenuto da tutte le opposizioni. Peccato che il governo, per bocca della vice ministra dell’Economia, Laura Castelli, avesse dato parere contrario.
«Oggi la maggioranza di governo si è spaccata, per la prima volta. È stato così, è inutile nasconderlo», scrive stizzito Luigi Di Maio su Facebook. «Si è spaccata su una proposta presentata dai renziani del Pd che prevede di regalare altri 3 milioni di euro di soldi pubblici, soldi delle vostre tasse, a Radio Radicale», scrive il capo politico. «Secondo noi è una cosa gravissima, di cui anche la Lega dovrà rispondere davanti ai cittadini. Sono franco: dovrà spiegare perché ha appoggiato questa indecente proposta del Pd! Dopo di che si va avanti, perché siamo persone serie».
Di Maio mette nel mirino gli stipendi «da capogiro» dei giornalisti, che secondo il ministro del Lavoro arrivano «anche 100 mila euro l’anno. Tutti pagati con i vostri e i nostri soldi, da sempre», argomenta il leader di un movimento che ha fatto del taglio dei finanziamenti pubblici la propria bandiera.
Ma per quanto Di Maio urli allo scandalo, mettendo sotto accusa l’alleato di governo, Matteo Salvini non sembra affatto colpito dalle parole infuocate del vice premier grillino. Anzi, il segretario della Lega rilancia serafico: «Ho sempre detto che non si chiude una radio, un giornale, una televisione con un emendamento o un tratto di penna: bisogna lasciare tempo e rispettare il lavoro fatto», dice Salvini. «Chiariremo tutto anche in questo caso», assicura il ministro dell’Interno.
Chi non la prende affatto bene, però, è Vito Crimi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega all’Editoria, da sempre sostenitore della sforbiciata all’emittente radiofonica. «Soldi delle tasse dei cittadini che vanno nelle casse di una radio di partito», dice Crimi, cancellando in un colpo solo il servizio pubblico, al servizio di tutti partiti, svolto dalla radio fin dalla sua nascita.
«Sono orgoglioso e contento del nostro gruppo», prosegue il sottosegretario pentastellato, «che ha votato convintamente contro questo emendamento, rispettando i nostri principi e quanto abbiamo sempre detto in campagna elettorale», cioè che «non vogliamo più dare soldi pubblici per finanziare radio, giornali e tv private», argomenta amareggiato Crimi, che poi punzecchia un cronista parlamentare di Radio radicale, arrivato in sala stampa per raccogliere col telefonino la dichiarazione dell’esponente grillino. «Spero che con i 7 milioni in più vi diano qualche cellulare e qualche telecamera in più... questa è una battuta ma non c’è da ridere», chiosa.
La frustrazione del Movimento 5 Stelle è palpabile. Il partito di Di Maio si è ritrovato da solo in Parlamento a condurre una crociata contro la radio fondata da Marco Pannella. E se i grillini si leccano le ferite, tutti i partiti di minoranza - da Fratelli d’Italia a Sinistra italiana - esultano per il salvataggio. Insieme a loro, questa volta, ci sono anche gli esponenti del Carroccio, passati all’opposizione per un giorno. Giusto il tempo di lasciare Di Maio col cerino in mano.