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Da qualsiasi punto di vista la si osservi questa crisi, a lungo annunciata e poi esplosa nel momento più inatteso, in piena estate e con le Camere chiuse, senza una vera ragione immediata pur se con molte giustificazioni profonde, è un labirinto. Lo è già a partire dalla data della convocazione delle Camere.
La pretesa di Salvini di essere lui a decidere quando riaprire i battenti del Parlamento chiuso per certificare formalmente la fine del governo gialloverde è destinata a sbattere contro le prerogative dei presidenti delle Camere, ai quali spetta quel compito dopo aver consultato le rispettive conferenze dei capigruppo. Si può scommettere che né i presidenti né la maggioranza dei capigruppo avranno alcuna voglia di sgombrare la strada per il leader leghista convocando le due aule prima di ferragosto.
Non che si possa pensare a tempi biblici ma già il rinvio, molto probabile, al 20 e 21 agosto renderà ancor più incombente il rischio, già enorme, di non riuscire a varare in tempo la legge di bilancio, dovendo quindi ricorrere all'esercizio provvisorio.
Una volta riunitesi le aule di Montecitorio e palazzo Madama si arriverà al nodo più aggrovigliato: chi sfiducerà Conte? Le dimissioni del premier avrebbero risolto il problema e Salvini le ha infatti chieste. Ma perché l'avvocato messo alla porta avrebbe dovuto accettare l'invito, oltre tutto trasgredendo al dettato presidenziale che vuole una crisi regolare, cioè parlamentarizzata, non si comprende. Quindi qualcuno dovrà presentare una mozione di sfiducia. Ma chi lo farà? E' probabile che esista un accordo, più o meno tacito, tra il leader della Lega e quello del Pd per arrivare subito al voto. Ma di qui a togliere le castagne dal fuoco a Salvini, per Zingaretti ce ne passa. Quindi è stata proprio la Lega a presentare la mozione di sfiducia.
La mozione della Lega è però esposta a ogni sorta di agguati parlamentari. Se Pd, gruppo Misto, Autonomie e magari una parte di Fi decidessero di disertare il voto potremmo trovarci di fronte al paradosso di un governo che non viene sfiduciato ma non dispone neppure di una vera maggioranza. Fantapolitica, ma fino a un certo punto. Di certo la porta della sfiducia per Salvini è stretta. Una volta sancito, in qualche modo, il decesso del governo Conte, il capo dello Stato procederà con consultazioni rapide.
Chi immagina un Mattarella che gioca sul ritardo non si rende conto di quanto l'inquilino del Quirinale sia preoccupato per la tenuta dei conti pubblici. Ritardare vorrebbe dire complicare la vita al capo della Lega ma anche esporre il Paese alla certezza dell'esercizio provvisorio. Me le manovre per offrire a Mattarella una maggioranza alternativa, effettiva o mediante astensione, sono già in corso. A sostegno di un governo Conte bis oppure, se nei prossimi giorni e forse nelle prossime ore la situazione economica diventerà da allarme rosso, di un governo tecnico incaricato, formalmente, di superare le rapide della legge di bilancio.
In quel caso, però, i partiti della nuova maggioranza sarebbero perfettamente consapevoli di dover proseguire la navigazione sino all'elezione del nuovo capo dello Stato, per impedire a Salvini la manovra pigliatutto. Ma esistono quei partiti? Sulla carta no. Zingaretti vuole votare quasi quanto Salvini. Ma Zingaretti non controlla il gruppo del Senato, dove si giocherà la sfida e dove il capogruppo Marcucci, renziano, conta di disporre di 42 senatori.
Una maggioranza, contando i numerosi senatori che non intendono lasciare palazzo Madama dopo un anno e mezzo di servizio, potrebbe anche spuntare fuori. Il problema è che quella maggioranza, tenuta insieme solo dall'emergenza anti Salvini, dovrebbe poi reggere a due anni di governo e non sarebbe facile. Un esempio per tutti: già nei primi giorni di settembre si voterà per la quarta e ultima volta la riforma costituzionale. Il Pd ha votato contro nelle precedenti tre votazioni. Un cambio di passo al fotofinish sarebbe forse troppo azzardato persino per la politica italiana.
Senza i voti della Lega la riforma, che per i 5S è davvero l'ultima spiaggia, non passerebbe. Sarebbe possibile restare nella stessa maggioranza dopo un trauma simile, destinato a ripetersi nel corso del biennio a venire più volte? Anche nell'eventualità, massimamente probabile, dello scioglimento delle camere entro agosto qualche nodo da sciogliere ci sarebbe. Non è infatti pensabile che un candidato premier come Salvini sia anche il ministro degli Interni che gestisce la fase elettorale. Ma scalzarlo, senza le dimissioni di Conte, non è facile a norma di regolamenti. E quelle dimissioni renderebbero impossibile la parlamentarizzazione della crisi. I labirinti sono fatti così.