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Qual è il punto di equilibrio tra tutela degli animali e sicurezza dei cittadini nelle zone popolate dagli orsi? La risposta che la politica non riesce a trovare è quasi interamente nelle mani dei giudici amministrativi, alle prese con decine di ricorsi delle associazioni ambientaliste soltanto nell’ultimo anno. Di certo non è una novità che in Italia un’emergenza finisca in tribunale, se così si può definire la necessità di vigilare su un progetto che forse è scappato di mano. Si tratta del “Life Ursus”, finanziato dall’Unione Europea all’inizio degli anni duemila per ripopolare le Alpi Centrali con gli orsi arrivati dalla Slovenia (e lì nati in libertà). All’inizio solo dieci esemplari, che poi hanno cominciato a riprodursi, con un obiettivo fissato tra i 40-60 in qualche decina di anni.
Attualmente in Trentino ce ne sono oltre un centinaio, secondo le ultime stime del presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti. Che di questa storia è in qualche modo il protagonista, oltre che primo nemico delle associazioni ambientaliste. Entrambi hanno ingaggiato un lungo braccio di ferro che non è ancora finito, su ognuno dei casi che hanno fatto cronaca negli ultimi mesi. Tutto è cominciato con l’orsa JJ4, la cui storia in realtà è vecchia di almeno tre anni. Parliamo del plantigrado considerato responsabile della morte di Andrea Papi, il runner di 26 anni aggredito e ferito mortalmente lo scorso 5 aprile nei boschi di Caldes, sul monte Peller. La tragedia del ragazzo ha scioccato il paese, ma ha anche scatenato un’ondata di mobilitazione nei confronti dell’orsa. La famiglia del ragazzo ha puntato il dito sulla politica, senza chiedere la testa dell’animale. Il quale non ha le responsabilità che le vittime si aspettano di giudicare.
Nel caso particolare, la storia di JJ4 non è proprio filata senza intoppi. Nel 2020 viene classificata come pericolosa dopo aver aggredito due persone. La Provincia ne dispone l’abbattimento, le associazioni ricorrono al Tar. Il ministero dell’Ambiente si unisce: nulla di anomalo - ha scritto Stefano Bigolaro su questo giornale - ben può un’amministrazione fare ricorso contro un’altra. Ma è segno di una contrapposizione tra poteri pubblici.
Ne segue un ping pong di sospensioni e revoche. Questa volta la Provincia vuole catturare JJ4 e trasferirla nel centro faunistico del Casteller, luogo di detenzione considerato un “lager” dagli animalisti. L’orsa però se la cava anche questa volta: i giudici annullano l’ordinanza di captivazione, ma sollecitano nuove valutazioni orientate alla tutela dell’incolumità pubblica. Si arriva quindi ad aprile scorso, e al nuovo giro di valzer in tribunale dopo il primo ordine di abbattimento firmato da Fugatti, a cui ne seguono altri. Questa volta la questione è più delicata, perché contro l’orso si imbastisce un processo e un dibattito che hanno connotazioni umane. «I principi di diritto si evolvono e sono frutto della coscienza sociale per cui le persone sarebbero anche disponibili a correre un rischio pur di non vedere sterminata la popolazione di un certo animale», dice l’avvocato della Lega Anti Vivisezione Claudio Linzola.
Un’altra chiave la offre Luigi Spagnolli, senatore del Pd ed ex sindaco di Bolzano, che invece la mette in termini di pena: «Quella di morte per l’uomo è il massimo del peggio. E l’ergastolo è meglio della pena di morte. Per un animale selvatico, però, l’ergastolo è molto peggio della pena di morte, perché un animale deve vivere in libertà». A questo argomento obiettano gli attivisti, i quali si offrono di sostenere le spese per trasferire l’orsa in dei rifugi sicuri, i “santuari”, uno già individuato in Romania.
Comunque sia, ci sono le regole da rispettare. Secondo la “direttiva Habitat” dell’Ue è possibile abbattere un individuo di specie protetta nel caso abbia creato dei conflitti con l’uomo, a meno che non sussista il rischio di estinzione. Deve essere, però, l’extrema ratio: ovvero il centro della questione messa nelle mani dei giudici. I quali hanno deciso che uccidere l’orsa, bene giuridico oggi costituzionalmente protetto, sarebbe stato sproporziona-to. La punizione non c’è stata, e di fatto neanche un progresso sul fronte dell’amministrazione. Che dovrebbe avere a che fare con la prevenzione, la funzionalità dei radiocollari e l’individuazione di spazi adeguati per gli animali considerati “problematici”.
La partita è ancora aperta, e al destino del compagno di cella di JJ4 al Casteller, il leggendario Papillon, si è aggiunto quello di F36. L’orsa trovata morta la settimana scorsa in val Bondone, nel comune di Sella Giudicarie: anche su questo esemplare pendeva una condanna di morte, sospesa anche in questo caso dal Tar. Il ritrovamento ha rimesso le associazioni in allarme, perché gli attivisti non credono che possa trattarsi di una «coincidenza». C’è un rischio concreto di bracconaggio e ad averlo provocato - sostengono gli animalisti - è il clima di odio alimentato dal presidente Fugatti. Che invece vede il mondo al contrario: l’empatia verso gli animali ci ha fatto dimenticare che a prevalere è la tutela della vita umana? Non è giustizia, non è politica, è quasi filosofia. Ed è anche circo mediatico, ma non è anomalo che l’ultima frontiera dello show giudiziario non abbia più gli uomini come protagonisti. In Abruzzo ad esempio c’eravamo appassionati alla storia dell’Orsa Amarena, poco prima che venisse ammazzata con una fucilata la notte tra il 31 agosto e il primo settembre, e i suoi cuccioli cominciassero la fuga. Il cacciatore accusato del fatto, il quale ha dichiarato di avere agito perché spaventato, ha subito minacce e insulti tali da rendere necessaria l’attivazione di servizi di vigilanza.
Si sono mossi i giustizieri fai da te, prima sui social, poi al telefono, poi sotto casa. In qualche modo il “modello linciaggio” è stato importato a un nuovo livello, dove cambiato gli attori ma resta uguale lo schema: la giustizia tribola mentre la politica annaspa, e l’opinione dilaga.