Si chiama Sofia. Poco più di un mese di vita, tutta trascorsa assieme ad altre decine di neonati in una stanza dalbergo a Kiev, a migliaia di chilometri dalla madre adottiva. Solo una delle tante donne italiane che, non potendo avere un bambino in Italia, si sono rivolte a una madre surrogata ucraina con l'aiuto di cliniche specializzate come BiotexCom. E che, dopo 9 mesi di trepidante attesa, hanno pure dovuto vedere i loro piccoli prigionieri nella hall di un albergo straniero, per via delle restrizioni ai viaggi internazionali imposte dallemergenza Covid-19. Una sorta di quarantena surrogata, racconta Lucia (nome di fantasia), che accetta di parlare solo dietro promessa di rendere la sua voce irriconoscibile.La sua testimonianza, assieme a quelle dellavvocato Giorgio Muccio (legale della donna) e di una rappresentante di Biotexcom (la clinica ucraina in questione), racconta la disavventura di 14 madri e padri italiani coinvolti questa vicenda. Sbloccatasi da pochi giorni solo grazie allintervento del garante dellinfanzia ucraino, che ha autorizzato lingresso dei genitori adottivi nel paese. Con lo Stato Italiano che, sul caso particolare come sulla generale regolamentazione di questi temi, continua a fare orecchie da mercante.   https://soundcloud.com/loremipsumnews/quarantena-surrogata