Niente più bavaglio per l’ex assistente parlamentare Francesco Giorgi. E niente più misure, con la decisione della Corte d’Appello di Bruxelles di annullare l’ordinanza della procura, che per ben due volte ha provato a imporre il silenzio degli indagati sul Qatargate, pena l’arresto.

La decisione arriva dopo lo schiaffo della Cassazione, che nei giorni scorsi aveva rispedito in appello il diniego di annullare le misure, a seguito di un braccio di ferro tra accusa e difesa. Il 6 febbraio, la procura aveva infatti notificato a Giorgi - accusato di corruzione internazionale nel presunto affaire che ha scosso le fondamenta dell’Europarlamento - le limitazioni alle quali sottostare. Tra queste anche il divieto di parlare con la stampa per mantenere un “clima sereno”, come scritto nero su bianco dalla procura per giustificare il “bavaglio”, ritenuto già a febbraio illegittimo dai giudici che hanno accolto il ricorso dell’eurodeputato belga Marc Tarabella.

Il 20 marzo, dunque, la difesa di Giorgi ha depositato la propria di richiesta, evidenziando il tentativo di impedire all’ex assistente parlamentare di difendersi: di fronte alla massima collaborazione offerta sin dall’inizio delle indagini, i nuovi divieti erano apparsi agli occhi di Giorgi incomprensibili.

Anziché attendere il responso dei giudici sul ricorso di Giorgi, però, la giudice Aurélie Dejaiffe ha scelto di anticipare le mosse, emettendo il giorno successivo alla richiesta di Giorgi una nuova ordinanza. Un documento con il quale reiterava, di fatto, gli stessi divieti contestati dal marito dell’ex vicepresidente del Parlamento Ue Eva Kaili. Dejaiffe aveva tentato di superare le obiezioni evidenziate nella sentenza che ha tolto il bavaglio a Tarabella: secondo la giudice, permaneva il «rischio di collusione con terzi» e «alla luce della forte mediatizzazione, sempre attuale, di cui è oggetto la presente indagine, è necessario limitare i contatti dell’imputato con la stampa, per consentire all’indagine di continuare nel clima più sereno possibile».

Dunque niente contatti con i media, ma solo per indagati e difesa. Il tutto mentre continuavano a circolare atti e documenti favorevoli alla tesi dell’accusa. Il Tribunale e la Corte d’appello avevano dato torto a Giorgi, che secondo i giudici avrebbe dovuto presentare un nuovo ricorso, ma la Cassazione, nei giorni scorsi, ha stabilito che l’emanazione, da parte del gip, di una nuova ordinanza che estende le condizioni non fa venir meno l’oggetto della richiesta di revoca già avanzata dall’ex assistente parlamentare. «Stabilendo diversamente - scriveva la Suprema Corte -, i giudici d’appello non hanno motivato giuridicamente la loro decisione». Ieri la nuova sentenza: «Il rischio di commettere nuovi crimini o delitti sembra ora marginale, vista la sospensione delle attività dell’imputato all’interno dell’emiciclo europeo - scrive la Corte d’Appello -. Il rischio di sottrazione all’azione della Giustizia sembra essere contenuto, dato che l’imputato è già stato autorizzato dal magistrato istruttore a lasciare temporaneamente il territorio del Regno e la legge del 19 dicembre 2003 consente, all’occorrenza, di ottenere rapidamente la consegna dell’interessato; il rischio di inquinamento probatorio è attualmente particolarmente limitato, poiché le indagini sono iniziate nel 2022 e hanno consentito, ipotizzando i fatti accertati, di raccogliere elementi di prova, alcuni dei quali hanno consentito di incriminare l’attore; il rischio di collusione con terzi non può più essere preso in considerazione fin dalla terza comparizione di un imputato posto in custodia cautelare. Dalle considerazioni che precedono risulta che, in questa fase del procedimento, essendo parzialmente scomparse le condizioni giuridiche per l’emissione di un mandato d’arresto nei confronti dell’imputato, occorre ordinare la soppressione delle condizioni stabilite dall’ordinanza del giudice istruttore del 21 marzo 2024».

Insomma, libertà totale, in attesa dell’accertamento della regolarità delle indagini, sulle quali, ora, incombe anche la richiesta avanzata dai legali dell’eurodeputato dem Andrea Cozzolino di valutare il ruolo dei servizi segreti nell’inchiesta. Il Tribunale, a settembre, dovrà decidere se affidare al cosiddetto “Comitato R” il compito di verificare il ruolo dei servizi. Anche perché stando a quanto affermato in aula dalle difese, il 90 per cento degli atti d’indagine sarebbe stato compiuto dagli 007, senza i vincoli imposti alle procure ordinarie e, dunque, con la possibilità di bypassare l’immunità parlamentare. Immunità che, secondo le difese, sarebbe stata più volte violata, con intercettazioni di conversazioni di eurodeputati, dossieraggio di diversi eurodeputati (oltre a quelli finiti nel fascicolo) e addirittura membri dei servizi segreti in borghese in Parlamento durante le sedute di Commissione per monitorare le opinioni espresse dai deputati.

Una anomalia sulla quale Roberta Metsola, presidente uscente dell’Eurocamera, ha deciso di non voler indagare, opponendosi - tramite l’avvocatura - alla richiesta dei legali di Cozzolino.