«Le regole più fondamentali dell’immunità sono state aggirate e violate, mentre i servizi segreti hanno fatto ciò che le autorità giudiziarie non avrebbero potuto fare, vale a dire sottoporre i parlamentari europei a procedimenti giudiziari prima che la loro immunità fosse revocata».

I difensori dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili e quelli dell’ex eurodeputato Andrea Cozzolino non hanno intenzione di mollare la presa. E puntano a far crollare il Qatargate, il presunto scandalo di corruzione in seno al Parlamento europeo, che presenta più di un punto oscuro.

Come anticipato nelle scorse settimane, l’avvocato Dimitri De Beco (difensore belga di Cozzolino) e i suoi colleghi Sven Mary e Christophe Marchand, legali di Kaili, hanno chiesto l’intervento del Comitato R, l’organo di controllo della sicurezza dello Stato (Vsse), affinché esamini il modo in cui è stata condotta l’indagine. Una richiesta alla quale il Parlamento europeo, che pure è parte lesa nel procedimento, si è opposta. Nei documenti depositati dai difensori, che il Dubbio ha visionato, viene illustrato chiaramente il modus operandi dei servizi. Che di fatto, stando alla ricostruzione degli avvocati, avrebbero ascoltato, pedinato e indagato degli europarlamentari violando la loro immunità, bypassando così le regole che avrebbero invece legato i polsi alla polizia. Senza contraddittorio e senza possibilità di intervento, dunque, i servizi hanno potuto raccogliere materiale a proprio piacimento, senza alcun obbligo di analizzare eventuali elementi a discarico, continuando ad indagare anche dopo aver passato la palla alla polizia.

«Leggendo il fascicolo dell’indagine, mi è sembrato che il mio cliente, deputato al Parlamento europeo, fosse stato oggetto – anche se solo indirettamente – di numerose intercettazioni telefoniche e dirette, che sembrano essere state effettuate dai servizi di sicurezza belgi e/ o stranieri, ben prima dell’apertura dell’indagine penale e ben prima della revoca della sua immunità da parte del Parlamento europeo». Se la Sicurezza dello Stato è autorizzata a svolgere indagini per proteggere la sicurezza interna dalle ingerenze di Paesi terzi, «mi sembra che i metodi utilizzati in questo caso vadano ben oltre questo obiettivo e i mezzi autorizzati per raggiungerlo.

Dalle diverse note trasmesse dalla Vsse nel caso di specie - prosegue De Beco - risulta che è stata effettuata un’indagine approfondita da parte dei servizi segreti, i quali sembrano aver effettuato intercettazioni telefoniche (dirette e indirette) su diversi protagonisti del caso, tra cui parlamentari europei che godono dell’immunità sulla base dell’articolo 9 del Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea. Dai primi elementi di informazione ottenuti, la Commissione ( Bim, che vigila sulle indagini della Vsse, ndr) avrebbe potuto e dovuto comunicare queste informazioni alle autorità giudiziarie, spettando a queste svolgere un’indagine giudiziaria per raccogliere prove e ottenere conferma o meno di questi sospetti». Ma invece di procedere secondo quanto stabilito dalla legge, «i servizi segreti hanno effettuato una propria ricerca di prove al fine di accertare l’esistenza di questi reati, che va ben oltre l’obiettivo fissato dall’articolo 7 della legge, prima di comunicare i risultati delle loro indagini solo in una nota integrativa indirizzata alla procura federale il 13 luglio 2022. Inoltre, i servizi segreti sembrano aver continuato le loro indagini nonostante l’indagine penale in corso, come dimostrano le note successivamente trasmesse dalla Vsse». Questo vuol dire dunque che «le regole fondamentali

dell’immunità sono state così aggirate e violate, mentre i servizi segreti hanno fatto ciò che le autorità giudiziarie non avrebbero potuto fare, cioè sottoporre i parlamentari europei a procedimenti giudiziari prima che la loro immunità fosse revocata. La coesistenza di un’indagine di intelligence e di un’indagine giudiziaria» avrebbe avuto in questo caso «l’evidente scopo di eludere l’immunità di alcuni dei protagonisti presi di mira, compreso il mio cliente».

I legali di Kaili parlano di «sorveglianza irregolare da parte della sicurezza dello Stato», in violazione «dei diritti di difesa». L’ex vicepresidente, affermano, «non poteva essere oggetto di azioni investigative restrittive da parte della sicurezza statale né prima né dopo il suo arresto». Tutti i dati raccolti dai servizi di intelligence sono stati utilizzati direttamente dalla procura federale, cambiando così le finalità dell’inchiesta: «L’obiettivo non era più solo quello di lottare contro potenziali ingerenze straniere - scrivono i legali -, ma di condurre un’indagine penale contro alcune persone identificate». Ma a questo punto i servizi segreti avrebbero dovuto abbandonare le indagini e la procura, per procedere, avrebbe dovuto chiedere la revoca dell’immunità. E a quel punto, forse, il Qatargate non sarebbe mai nato. «Se l’articolo 20 comma 2 della legge organica sui servizi di informazione e di sicurezza prevede un “ponte” tra le attività dei servizi di informazione e le attività dei servizi di polizia nell’ambito di un’indagine penale - prosegue il documento depositato dalla difesa -, ciò non implica l’automatica deroga alle norme di diritto comune di cui ha beneficiato la signora Kaili, vale a dire l’immunità parlamentare». E senza l’intervento dell’intelligence, la presunta flagranza di reato (indiretta) contestata a Kaili non avrebbe mai potuto essere ipotizzata. «Prima dell’arresto della nostra cliente, avvenuto il 9 dicembre 2022 – vale a dire quando beneficiava dell’immunità dalle indagini e dai procedimenti giudiziari in relazione al suo mandato di parlamentare europea – la sua abitazione, condivisa con Giorgi (Francesco, suo marito, ex assistente parlamentare di Pier Antonio Panzeri e assistente di Cozzolino, ndr) era oggetto di sorveglianza da parte dei servizi di sicurezza dello Stato e tale sorveglianza è continuata anche dopo il suo arresto. Infatti, nel momento in cui Giorgi è stato arrestato il 9 dicembre 2022 e privato della libertà alle 9.42, la casa ha continuato ad essere monitorata poiché la sicurezza dello Stato ha informato gli investigatori della polizia della partenza del padre della nostra cliente, il signor Alexandros Kaili, alle 13.00, più di 3 ore dopo che la sorveglianza avrebbe dovuto terminare a causa dell’immunità di cui gode la signora Kaili. È difficile vedere come questa sorveglianza avrebbe potuto mirare a combattere le interferenze straniere - concludono i legali -. Si è trattato evidentemente di un’operazione di sorveglianza nell’ambito di un’indagine destinata ad avviare un procedimento penale».