«Come può il Parlamento europeo tollerare la violazione di tutti questi diritti?». Si possono riassumere così le interrogazioni depositate dall’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili che, dopo il rifiuto, da parte della Commissione Juri, di valutare una possibile violazione dell’immunità parlamentare dell’eurodeputata, ha deciso di chiedere risposte scritte sulle molteplici stranezze registrate nell’ambito dell’inchiesta Qatargate. Un presunto scandalo di corruzione rimasto, per giunta, senza corruttori, data la rinuncia, da parte del Belgio, di perseguire il ministro del lavoro del Qatar Ali bin Samikh Al Marri, colui che avrebbe pagato gli eurodeputati per ottenere voti favorevoli alle politiche qatariote in Parlamento.

La prima delle interrogazioni di Kaili riguarda la violazione della libertà di espressione in Belgio, «uno dei cinque diritti fondamentali» della Carta dei diritti dell’uomo dell’Unione europea. Nel caso Qatargate, il 22 dicembre 2023, le autorità giudiziarie belghe hanno vietato a tutti gli imputati, compresa Kaili, e ai loro avvocati, «di avere contatti diretti o indiretti, scritti o verbali, con la stampa per qualsiasi cosa attinente alla presente indagine», pena l’arresto. Un divieto contro il quale gli indagati hanno fatto ricorso e che è stato già annullato per l’eurodeputato belga Marc Tarabella, che si è visto dare ragione dalla “Chambre des mises en accusation”, secondo cui tale imposizione sarebbe «non conforme ai requisiti legali». «Uno Stato membro dell’Ue - chiede Kaili - può limitare la libertà di espressione dei singoli e dei politici?». Altro tema scottante è quello relativo alla violazione dell’immunità parlamentare – tema che il Parlamento ha deciso di ignorare -, dal momento che le autorità belghe e i servizi segreti di diversi Paesi europei sono arrivati a monitorare l’attività di alcuni eurodeputati anche «attraverso l’uso illegale di cimici», appostandosi fuori dalla casa di Kaili e introducendosi in borghese in Parlamento durante una seduta di Commissione, per appuntare le posizioni politiche dei singoli deputati. Kaili ha chiesto alla Commissione di chiarire «se i servizi segreti e le autorità nazionali degli Stati membri sono autorizzati» a comportarsi in questo modo senza che prima si sia proceduto alla revoca dell’immunità. Una circostanza che, secondo l’ex vicepresidente, rende il Belgio «un posto non sicuro per la democrazia». Ma non solo: nonostante i molti elementi a carico, alcuni degli europarlamentari sospettati non risultano indagati, stando a quanto scritto nella relazione conclusiva dei servizi segreti belgi. Una situazione, questa, che secondo uno studio del 2014 della Dg Ipol (cioè la direzione generale per le politiche interne dell'Unione) intitolato “L’immunità dei deputati al Parlamento europeo”, rappresenta un sintomo di fumus persecutionis. «Come può un deputato essere tutelato dal fumus persecutionis?», chiede Kaili, che lamenta anche violazioni del diritto alla difesa. L’eurodeputata prende spunto dalla decisione della Commissione di deferire il Belgio e il Lussemburgo alla Corte di giustizia dell’Unione europea per non aver recepito correttamente la direttiva relativa al diritto di avvalersi di un difensore e al diritto di comunicare in caso di arresto. Violazioni riscontrate anche nel Qatargate, afferma Kaili, come denunciato dagli avvocati di Pier Antonio Panzeri, il “pentito” architrave dell’inchiesta, ritenuto non attendibile dallo stesso ispettore capo, come testimonia un audio registrato da Francesco Giorgi, marito di Kaili, e depositato nelle scorse settimane. Un gesto, quello di Giorgi, che ha anche spinto la procura a depositare quattro scatoloni di atti fino a quel momento non conosciuti dalle difese. Da qui la richiesta alla Commissione circa le proprie intenzioni di adire di nuovo alla Corte di Giustizia.

L’ultima interrogazione prende invece le mosse dal documento programmatico del semestre di presidenza belga nel settore giustizia. Nell’ambito del Qatargate, conclude l’ex vicepresidente, «le autorità belghe hanno violato diversi diritti, il che è inconciliabile con il diritto fondamentale a un processo equo e a una democrazia fondata sullo Stato di diritto. I metodi illeciti utilizzati sono stati la violazione della riservatezza delle indagini, del segreto professionale degli avvocati, della libertà di espressione e del diritto della difesa mediante l’occultamento di elementi del processo, l’estorsione di confessioni, la collusione forzata, l’abuso della detenzione preventiva, il conflitto di interessi del giudice istruttore e la parzialità del capo ispettore». Dal momento che la presidenza belga mira a promuovere lo Stato di diritto, afferma Kaili, come può farlo «se in Belgio si verificano violazioni così palesi?». Domande alle quali la Commissione, ora, non può più sfuggire.