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L'avvocato Dimitri de Beco
«Non è possibile sapere come, concretamente, siano state raccolte le informazioni. Inoltre, viene impedito all’avvocato di contestare l’autenticità o il valore legale di un’informazione così ottenuta». A dirlo, a La Libre, è Dimitri de Beco, avvocato belga dell’ex eurodeputato Andrea Cozzolino, uno dei politici coinvolti nel presunto scandalo di corruzione meglio noto come Qatargate. Che si dice «colpito da tutto lo spazio che occupano le informazioni ottenute dalla Sicurezza dello Stato».
La questione, già raccontata dal Dubbio, riguarda il ruolo dei servizi segreti nell’inchiesta sullo scandalo scoppiato in seno all’Europarlamento: il 90 per cento degli atti d’inchiesta, ha evidenziato de Beco in aula lo scorso 18 giugno, è opera degli 007. Non solo del Belgio, ma anche di altri Paesi. Un’impronta impressa sin dal primo documento inserito in questo corposo fascicolo, datato 1 ottobre 2021, con un lavoro costante che ha spinto i servizi ad introdursi in borghese nell’Europarlamento per controllare le opinioni politiche dei parlamentari.
De Beco ha chiesto l’intervento del Comitato R, l’organo di controllo della sicurezza dello Stato ( Vsse), affinché esamini il modo in cui è stata condotta l’indagine. Una richiesta alla quale il Parlamento europeo, che pure è parte lesa nel procedimento, si è opposta. Meglio non sapere, forse, o non scoprire altre vicende finora rimaste nascoste nel segreto dei cassetti dei servizi segreti. Ma non per le difese, secondo cui gli 007 sarebbero stati «troppo presenti» nel fascicolo istruttorio. Con una grave lesione del diritto di difesa.
D’altronde era stato l’ex procuratore nazionale antimafia, e ora anche ex europarlamentare, Franco Roberti, dalle colonne del Dubbio, a confermare le lacune dell’inchiesta: «Quando parliamo di cultura della prova, di cosa parliamo? Prima ancora che della valutazione, parliamo della trasparenza e delle garanzie, delle procedure acquisitive della prova - aveva spiegato -. Quanto successo col Qatargate è la negazione di questa cultura, in particolare della procedura acquisitiva della prova. Ci sono tutti gli estremi per dire che le cose non sono andate bene».
Un giudizio netto, duro, di fronte a fatti distanti anni luce dallo Stato di diritto. La maggior parte del fascicolo istruttorio del Qatargate, ha spiegato de Beco, sarebbe infatti composto da elementi raccolti dagli agenti della Sicurezza e non dalla polizia. Ma il modo in cui opera la Vsse, ha sottolineato l’avvocato a La Libre, «è, per definizione, segreto». Il che significa che non può esserci alcun contraddittorio o alcuna possibilità di verificare la genuinità degli elementi raccolti.
In Belgio è possibile usufruire dei dati raccolti dai servizi segreti, a patto che le regole vengano rispettate. Ed è qui, sottolinea, che le cose si complicano. «Gli obiettivi della Sicurezza e quelli degli investigatori della polizia non sono gli stessi - ha sottolineato de Beco -. Hanno compiti diversi, metodi diversi. La Sicurezza ha una missione di intelligence e, quando viene a conoscenza di
fatti relativi a un reato, è obbligata a comunicarlo alla procura federale affinché un giudice istruttore possa condurre un’indagine indipendente. E questa indagine giudiziaria ha lo scopo di trovare le prove di un reato, mentre le informazioni raccolte dalla Sicurezza non sono legalmente considerate prove. Si tratta di informazioni che consentono agli inquirenti di avviare un’indagine o di riorientare un’indagine in corso. Molte indagini giudiziarie sono “alimentate” dalla Sicurezza. Ma qui abbiamo a che fare con qualcos'altro. Qui, la Sicurezza dello Stato ha sostituito gli investigatori e questo è preoccupante». Ed è forse questo il motivo per cui non si avranno udienze pubbliche. Non per scelta della procura, paradossalmente, ma per scelta del Parlamento europeo.
I Servizi, stando a quanto dichiarato da de Beco, non avrebbero seguito le regole, dal momento che hanno disatteso l’obbligo di comunicare le informazioni raccolte alla procura federale. E dopo aver finalmente avvertito il pubblico ministero, avrebbero continuato a indagare per conto proprio, mentre era già in corso un’indagine giudiziaria. Ciò significa che le norme non sono state rispettate e in questo caso «è impossibile avere accesso al modo in cui le informazioni contro il mio cliente sono state raccolte. Ad esempio, quando in un’indagine giudiziaria classica si tratta di prove raccolte tramite intercettazioni telefoniche, noi avvocati abbiamo la possibilità di ascoltare le registrazioni per poter difendere il nostro cliente. Ciò non è possibile quando tali registrazioni sono effettuate dalla Sicurezza dello Stato. Pertanto, non è possibile esercitare i propri diritti della difesa. Inoltre, la raccolta dei dati da parte della Sicurezza è stata fatta in violazione dell’immunità del mio cliente, al di fuori di ogni controllo».
Già, l’immunità, un altro tema che il Parlamento non ha voluto affrontare, nonostante il tentativo di alcuni tra i quali gli italiani Giuliano Pisapia, Sandro Gozi e Franco Roberti - di richiamare il Parlamento alle proprie responsabilità.
L’auspicio di de Beco è dunque che il Comitato R esamini il modo in cui è stata condotta l’indagine. «Ho chiesto alla Corte di chiedere un controllo sui metodi di raccolta dei dati utilizzati dalla Sicurezza dello Stato in questo caso. La Corte ha ascoltato le mie argomentazioni, condivise dalla maggior parte degli avvocati degli altri imputati, e si pronuncerà in merito il 24 settembre».
Parallelamente, l’avvocato di Cozzolino ha presentato personalmente una denuncia al Comitato R, con le stesse richieste avanzate davanti ai giudici. «Se la giustizia accetta questo modo di procedere - ha concluso de Beco -, rischia, a mio avviso, di costituire un pericoloso precedente: la Sicurezza dello Stato può ora condurre indagini importanti, su reati commessi o in corso, al posto della polizia e della giustizia, senza il minimo controllo e senza le garanzie minime di cui deve poter beneficiare ogni cittadino sospettato di un reato. Immaginiamo per un momento fino a che punto questo potrebbe portarci in futuro» .