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VLADIMIR PUTIN PRESIDENTE RUSSIA
Il criminale di guerra Vladimir Putin – è accusato dalla Corte penale internazionale di «deportazione di illegale di bambini e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa» - se raggiungesse l’Italia per recarsi poi in Vaticano, in occasione dei funerali di Papa Francesco, potrebbe non essere arrestato. È un’ipotesi presentata ieri dal Corriere della Sera in un articolo di Giovanni Bianconi. «Tra i motivi che hanno spinto Vladimir Putin a disertare i funerali di Papa Francesco in piazza San Pietro a Roma – scrive Bianconi - ci sarebbe anche il timore di essere arrestato per via del mandato di cattura emesso a suo carico dalla Corte penale internazionale nel marzo 2023». «Ma in realtà – si legge sul Corriere della Sera - il presidente russo rischierebbe poco o nulla». Il motivo risiede, a detta di Bianconi, nell’inerzia del ministro della Giustizia italiano che «non ha mai dato seguito al provvedimento datato 17 marzo 2023», vale a dire il mandato di arresto internazionale spiccato dalla Cpi. «Da allora – aggiunge la firma del Corriere della Sera - l’ordine dei giudici dell’Aia è fermo negli uffici di via Arenula, il Guardasigilli Carlo Nordio non lo ha trasmesso alla Procura generale di Roma, affinché lo inoltrasse alla Corte d’appello per renderlo esecutivo. Trasformandolo in un pezzo di carta senza alcun effetto».
Accondiscendenza verso Mosca, timore di una reazione spropositata della Russia nei confronti dell’Italia? La risposta potrebbe essere esclusivamente di carattere politico. Il ministero della Giustizia, però, si è affrettato a replicare. «Quanto riportato stamani (ieri, ndr) da alcuni quotidiani italiani – si legge nella scarna precisazione del ministro Nordio - è totalmente destituito di fondamento perché il presidente russo Vladimir Putin, nei cui confronti vi è una richiesta della Corte penale internazionale, non è mai transitato in territorio italiano né mai si è avuta notizia che fosse in procinto di farvi ingresso. La presenza della persona o il suo imminente ingresso nel territorio dello Stato sono, infatti, condizioni essenziali per i provvedimenti conseguenti». Una presa di posizione con la quale il ministero della Giustizia fa comunque intendere che, nel caso di presenza in Italia del presidente russo Vladimir Putin, non mancherebbero le azioni da parte delle autorità del nostro Paese (l’Italia con la legge 20 dicembre 2012 n. 237 ha recepito le disposizioni dello Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale).
Il tema di una eventuale presenza sul territorio nazionale di Putin pone delle questioni giuridiche e allo stesso tempo politiche, considerata la “personalità” di cui stiamo parlando. E le questioni di carattere politico non dovrebbero prevalere sulle norme in vigore. «Dal punto di vista dello Statuto di Roma – dice al Dubbio il professor Marco Pedrazzi, ordinario di Diritto internazionale nell’Università di Milano “Statale” -, i mandati d’arresto emessi dalla Corte penale internazionale devono essere eseguiti. Alla componente politica non può essere riconosciuto alcuno spazio. Non vi è dubbio che l’emissione da parte della Corte penale internazionale di mandati d’arresto nei confronti di capi di Stato o di governo in carica, tanto più se parliamo di Stati attualmente coinvolti in conflitti armati che pongono in grave pericolo la pace e la sicurezza internazionale, ben al di là dei territori direttamente coinvolti negli scontri armati, susciti questioni estremamente delicate. Ma dal punto di vista del diritto l’opportunità politica non può prevalere su quanto previsto dalle norme. Nel caso che ci occupa i problemi, peraltro, sono anche giuridici e non solo politici».
Nello scenario presentato dal Corriere della Sera se il presidente russo venisse in Italia, le forze di polizia non potrebbero arrestarlo in quanto i passaggi previsti dalla legge non sarebbero stati consumati. «La Corte penale internazionale – aggiunge Pedrazzi - è un’istituzione che non dispone di propri mezzi di coercizione. È dunque indubbio che l’arresto, conforme alla legge, di qualunque individuo sul territorio di uno Stato dipende sempre dalla attivazione degli organi di tale Stato. Lo Stato parte dello Statuto di Roma, quale è l’Italia, è però tenuto ad eseguire mandati d’arresto emessi dalla Corte nei confronti di individui presenti sul suo territorio. Se non lo fa, come è avvenuto per quanto riguarda l’Italia nel caso Al Masri, commette illecito internazionale».
Il primo ministro o il presidente di uno Stato, accusato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, beneficiano di una immunità – sembra essere questa la strada intrapresa dal nostro ministero della Giustizia -, fino a quando resta in carica, o il mandato di arresto della Cpi può essere eseguito? Il tema è delicato e complesso. La spiegazione fornita da Marco Pedrazzi è articolata e tiene conto, oltre che del caso Putin, anche del mandato d’arresto nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu. «Nel caso di mandati d’arresto – evidenzia il professore della “Statale” - emessi dalla Corte penale internazionale nei confronti di capi di Stato o di governo o ministri degli Esteri di Stati non parti dello Statuto di Roma, i quali dunque non ne sono vincolati, subentra un ulteriore problema: tali organi di vertice dello Stato beneficiano, in base al diritto internazionale consuetudinario, di immunità dalla giurisdizione degli altri Stati, per tutto il tempo in cui sono in carica. Ciò comporta che non possono essere arrestati né sottoposti a processo penale davanti ai giudici interni, in mancanza di assenso del loro Stato. Il problema, tra i mandati emessi di recente dalla Corte penale internazionale, riguarda solo ed esclusivamente il presidente russo Putin e il primo ministro israeliano Netanyahu. Ora, lo stesso Statuto di Roma, che pur prevede all’articolo 27 che non vi siano ostacoli a che la Corte giudichi un capo di Stato o di governo in carica e che nessuna immunità possa valere dinanzi alla Corte, tale norma prevale sulla regola consuetudinaria dell’immunità, per quanto riguarda gli Stati parte dello Statuto, sembrerebbe considerare questa ipotesi, laddove stabilisce, all’articolo 98.1, che la Corte non possa richiedere ad uno Stato la consegna di un individuo, se tale consegna implichi per lo Stato richiesto di violare obblighi internazionali relativi all’immunità. Parrebbe dunque sussistere un contrasto tra le richieste di consegna di Putin e Netanyahu, rivolte dalla Corte penale internazionale a Stati parti, e gli obblighi internazionali di questi ultimi in tema di immunità di capi di Stato o di governo di Stati non parti dello Statuto di Roma. Va ribadito che la questione riguarda Putin e Netanyahu e non altri individui, quali Al Masri o altri soggetti, anche collegati alla Russia o ad Israele, su cui penda un mandato d’arresto della Corte». A tal riguardo, emerge un altro tema. «La Corte penale internazionale – evidenzia il professor Pedrazzi -, la quale si è pronunciata in più occasioni sul punto, da ultimo, con decisione del 24 ottobre 2024 della Camera preliminare riguardante la mancata consegna di Putin da parte della Mongolia, ritiene peraltro che l’obbligo di consegna gravi sugli Stati parti anche in questi casi e che pertanto lo Stato parte che rifiuti la consegna commetta illecito internazionale. Le motivazioni di tale giurisprudenza non sono però pienamente coerenti tra una decisione e l’altra né risultano del tutto convincenti».
Il rischio di uno svilimento delle prerogative della Cpi è concreto. «Va ricordato – conclude il professor Pedrazzi - che la Corte penale internazionale affronta problemi di effettività e contestazioni alla sua legittimità fin dalla sua nascita, nel 2002. Nel momento attuale, le sfide che affronta la Corte sono notevoli, dal rifiuto di Stati parti di consegnare alla Corte individui su cui pende un mandato d’arresto della stessa, in particolare ma non solo per quanto riguarda Putin e Netanyahu, all’annuncio da parte dell’Ungheria, in coincidenza con l’invito ufficiale sul suo territorio del premier israeliano Netanyahu, del suo recesso dallo Statuto di Roma, alle sanzioni adottate dal governo degli Stati Uniti contro la Corte e che rischiano di ostacolarne gravemente le attività. Tali sfide pongono indubbiamente in pericolo la credibilità della Corte penale internazionale e sono tali da limitarne l’operatività e l’incidenza nella realtà internazionale».