«Sono molto turbato. In questo momento non mi sento totalmente libero di esprimermi»: così il condirettore di Libero, Pietro Senaldi, commenta al Dubbio la decisione assunta sabato dal Comitato direttivo centrale dell’Anm di intraprendere, tra l’altro, un’azione civile contro di lui.

Tutto nasce dalle dichiarazioni del giornalista nella trasmissione televisiva “In Onda” su La 7 il 21 agosto 2024, quando aveva definito la magistratura come «uno dei cancri del Paese». Per questo il parlamentino delle toghe ha posto all’ordine del giorno questa affermazione. Il giornalista ha proseguito dicendo: «Per ora posso dire di essere consapevole di aver usato un’espressione molto forte, ma è anche vero che non va decontestualizzata. Come ho avuto modo di chiarire subito dopo, in diretta, non intendevo delegittimare l’istituzione della magistratura, cosa che non ho peraltro il potere di fare, ma solo affermare che i problemi della giustizia sono uno dei freni al buon funzionamento del Paese, come peraltro riconosciuto da tutti. Sono consapevole che la magistratura è uno dei fondamenti della democrazia e della Repubblica e per questo il suo operato sta a cuore a tutti ed è parte del dibattito pubblico. Indipendentemente dalle iniziative che intenderà prendere l’Anm, mi piacerebbe avere un confronto franco con il presidente Giuseppe Santalucia, che cercherò nei prossimi giorni, nel rispetto sia delle prerogative della magistratura sia del diritto di critica dei cittadini, almeno sui principi generali, senza entrare nei singoli casi. Credo che in questo momento particolare sia importante per tutti cercare il dialogo prima dello scontro muscolare, il confronto prima dell’intimidazione. Per ridurre al minimo incomprensioni, come quella di cui purtroppo sono stato protagonista», ha concluso Senaldi.

Durante la sua relazione, proprio il presidente Giuseppe Santalucia aveva detto: «È ritornato il termine “cancro” per definire la magistratura. Questo è spia di qualcosa di profondo e grave, di un malessere molto più radicato. C’è un uso irresponsabile del linguaggio senza una valutazione del significato, come se della magistratura si potesse dire qualsiasi cosa! Non è la parola fuori posto di un giornalista, ma il sintomo di un malessere della democrazia più radicato. Questo non è critica, è vilipendio dell’ordine giudiziario. Cancro lo si può dire per la mafia, per una criminalità infiltrante, non per chi la combatte ogni giorno».

Ne è seguito un lungo dibattito, al termine del quale sono state prese due decisioni. Con 10 voti favorevoli, 9 contrari e 8 astenuti si è optato per l’azione civile. In caso di vittoria si dovrebbero devolvere i soldi ad una associazione per la lotta contro il cancro. Si è anche deliberato, con 21 voti favorevoli, 5 contrari e un astenuto, di segnalare quanto accaduto a La7 alle istituzioni di garanzia - Presidente della Repubblica e Consiglio superiore della magistratura - e anche all’ordine dei giornalisti e di presentare altresì un esposto alla procura di Roma che dovrà chiedere l’autorizzazione a procedere al ministro della Giustizia Carlo Nordio, essendo il reato ipotizzato quello di vilipendio.

Rispetto al voto finale sull’azione civile, Magistratura democratica si è opposta fermamente, quelli maggiormente favorevoli sono stati gli esponenti di Magistratura indipendente e di Unicost, anche se la vice presidente dell’Anm Alessandra Maddalena e la sua collega Roberta d’Onofrio hanno votato contro. In Area la maggior parte si è astenuta, compreso il leader delle toghe Giuseppe Santalucia.

Abbiamo raccolto due posizioni opposte. La prima è quella di Andrea Reale, del gruppo Articolo 101: «Ho votato contro perché penso che l’enormità dell’offesa si commenti da sola, anche per la genericità della stessa e che non ci sia risarcimento pecuniario adeguato. Ritengo che, piuttosto che un’azione civile di danni, sia necessario un richiamo, da parte delle istituzioni di garanzia (quali Csm e Presidenza della Repubblica) al rispetto delle funzioni giurisdizionali esercitate da servitori dello Stato, molti dei quali caduti in servizio perché vittime di criminalità organizzata. È necessaria anche una battaglia culturale per il recupero di una rinnovata etica pubblica per tutti coloro che animano i settori nevralgici del Paese, che si nutra di continenza, di rispetto, di tutela dell'onore e della dignità di tutti coloro che esercitano funzioni in nome del popolo italiano».

Diversa la posizione di Italo Federici di Unicost: «Quando il linguaggio non si pone limiti e sconfina nel dileggio gratuito e generalizzato di una intera categoria di servitori dello Stato, il richiamo - persino se autorevole - al rispetto delle Istituzioni temo serva a ben poco. Assistiamo oramai da mesi a un crescendo incontrollato di attacchi anche volgari alla giurisdizione, ma l’accostamento al cancro, alla sofferenza che provoca e al male che rappresenta non può essere tollerato. Delegittimare così gravemente la magistratura significa demolire lo stato di diritto e danneggiare tutte le Istituzioni, aprendo la strada a scenari da Capitol Hill che davvero non vorremmo si verificassero nel nostro Paese. La decisione dell’Anm di agire in sede civile nei confronti di un giornalista è la naturale conseguenza di questa inaudita maleducazione istituzionale».