La legge 40 torna in Corte costituzionale. Il tribunale di Firenze ha infatti sollevato una questione di legittimità costituzionale riguardo alle condizioni di accesso alle tecniche riproduttive. Secondo l’articolo 5 della legge (requisiti soggettivi), «possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA, ndr) coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». Perché una donna single non dovrebbe poter usare la medicina riproduttiva? E perché una coppia di donne o di uomini non potrebbero usarle? La questione riguarda la differenza tra libertà e capacità (in questo caso riproduttiva) e le condizioni di un divieto legittimo (non si può vietare qualcosa perché non vi piace o perché non la fareste).

Ma andiamo con ordine. Questa storia comincia con la richiesta di una donna, Evita, a un centro di riproduzione di poter accedere alla cosiddetta fecondazione eterologa, cioè al seme di un donatore con cui produrre un embrione e procedere poi all’impianto. Il centro le dice che non è possibile e per Evita questo rifiuto viola i suoi diritti alla uguaglianza, alla libertà, alla salute.

Quell’articolo 5, scrive il giudice nella ordinanza, “prevede un’irragionevole disparità di trattamento, senza che possa tale disparità essere giustificata da alcun interesse costituzionalmente rilevante”. Ricordiamo anche che se una donna va in un altro paese dove è legale accedere alle tecniche riproduttive anche da sola, suo figlio sarà poi riconosciuto dalla legge italiana: “La prassi applicativa del cosiddetto turismo procreativo conduce quindi al superamento del divieto normativo palesando l’irragionevolezza di detto divieto”. L’articolo 5 della legge 40 confligge con gli articoli 2 e 13 della Costituzione: sacrificherebbe l’esigenza di procreazione (riconosciuta anche dalla sentenza della Corte costituzionale 151 del 2009) e il “diritto incoercibile della persone di scegliere di costituire una famiglia anche con figli non genetici”.

Contrasta anche con l’articolo 32, non rispettando il diritto alla salute e impedendo di provare a diventare madri. Infine, contrasta con alcuni articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto alla integrità fisica e psichica, l’autodeterminazione, il diritto alla scelta e alla costituzione del proprio modello di famiglia.

Non male per un solo articolo, no? Evita è assistita dal gruppo legale dell’Associazione Luca Coscioni coordinato da Filomena Gallo e la legge 40 è un perfetto esempio di come una legge non dovrebbe essere scritta. In questi vent’anni è cambiata grazie a storie simili a quella di Evita e grazie al lavoro dell’Associazione per rendere questa legge meno ingiusta e meno discriminatoria. Proprio dieci anni fa è stato dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa e quindici anni fa è stato eliminato l’obbligo di impianto contemporaneo dei soli tre embrioni prodotti ( perché in contrasto con la salute – non era poi così difficile da immaginare che la decisione di quanti embrioni usare non può essere stabilita per legge, ignorando le condizioni cliniche della donna specifica, così come del limite numerico).

In questo ultimo procedimento è stata ammessa anche un’altra donna che aveva fatto la stessa richiesta e aveva ricevuto la stessa risposta da parte di due centri di riproduzione: non si può. Vediamo che cosa deciderà la Corte questa volta, ma sarebbe augurabile che quanto successo alla legge 40 non accadesse più. Possiamo insomma sperare che ci sia una curva di apprendimento? Perché se già sarebbe dovuto essere ovvio non scrivere una lunga lista di divieti insensati e in contraddizione con principi e diritti fondamentali, forse diventa impossibile da ignorare il numero di volte che la Corte è stata chiamata a rispondere a un dubbio di incostituzionalità. Poi lo so che è possibile ignorare anche un sottotitolo a caratteri cubitale e illuminato, ma il lavoro del legislatore dovrebbe essere meno sciatto e meno approssimativo.

Penso al divieto di accesso alle tecniche per le persone portatrici di patologie genetiche: com’è possibile soltanto aver immaginato un divieto del genere? In caso di malattie genetiche la possibilità di ricorrere alle tecniche offre la possibilità, a chi vuole, di non aspettare i test prenatali per poi eventualmente abortire. Anche questo divieto è stato eliminato, ma non sarebbe proprio dovuto essere scritto.