Il passaggio definitivo al processo penale telematico è stato rinviato di un altro anno. Una ridefinizione all’interno della quale assisteremo ad una sorta differimento selettivo, che terrà conto della diversa tipologia di atti che sarà possibile depositare attraverso l’infrastruttura informatica del ministero della Giustizia, denominata “App” (Applicativo per il processo penale telematico).

La notizia è stata salutata positivamente dagli avvocati, che potranno avvalersi – questo è l’auspicio - a pieno regime di uno strumento davvero efficiente. Giova ricordare che il processo penale telematico, con l’adozione in via esclusiva di “App”, sarebbe dovuto entrare in vigore dal primo gennaio di quest’anno. Il Consiglio nazionale forense nei giorni scorsi è stato coinvolto nella ridefinizione del passaggio al penale telematico. L’adozione del decreto ministeriale prevede espressamente il parere del Cnf e del Consiglio superiore della magistratura. La posizione espressa dall’avvocatura istituzionale è contenuta proprio in un parere formulato nel plenum di venerdì scorso.
L’entrata in funzione di “App” è andata incontro, per la complessità della infrastruttura, ad alcuni rinvii. Una scelta del ministero della Giustizia ponderata e ragionevole, frutto pure dell’accoglimento di alcune richieste dell’avvocatura di posticipare di un anno, vale a dire al primo gennaio 2025, lo switch off.

Nel frattempo, per la stragrande maggioranza degli atti riguardanti i procedimenti penali è rimasto in vigore il cosiddetto “doppio binario”, vale a dire la possibilità di utilizzare, in alternativa ad “App”, i depositi analogici mediante la posta elettronica certificata o il deposito cartaceo. Inoltre, dall’inizio di quest’anno è comunque diventato obbligatorio e privo di alternative l’uso di “App” per i soli atti relativi alle archiviazioni (sia le richieste delle Procure, sia le decisioni dei gip). Tale uso è stato adottato dal ministero e, ovviamente, dagli uffici giudiziari e dai difensori come sperimentazione dell’uso generalizzato (esteso anche a tutte le altre parti del procedimento penale) di “App”.
Negli ultimi tempi, però, non sono mancati intoppi che hanno ostacolato il regolare funzionamento dell’infrastruttura informatica ministeriale. Una situazione che ha allarmato le 26 Procure distrettuali e la Procura nazionale Antimafia. I magistrati per questo motivo hanno deciso di scrivere al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per valutare una serie di interventi finalizzati a garantire la regolare prosecuzione del lavoro negli uffici giudiziari. Di qui il rinvio ulteriore di un anno, al primo gennaio 2026, del passaggio obbligatorio dei depositi tramite “App”.
A proposito del differimento selettivo al quale si faceva riferimento prima, la decisione di via Arenula di procedere ad un rinvio, si è articolata tenendo conto di varie date. Dal primo gennaio 2025 è previsto l’uso di “App” non solo per gli atti relativi alle archiviazioni, come avviene già dal primo gennaio 2024, ma anche per i riti alternativi (patteggiamento, rito abbreviato, abbreviato condizionato) e per il deposito delle sentenze.

Dal 31 marzo 2025 sarà obbligatorio, e senza alternative analogiche, l’uso di “App” anche per le iscrizioni nel registro degli indagati e per i processi per direttissima. Gli altri atti, relativi a tutte le parti del procedimento penale, potranno essere adottati e depositati anche in modalità analogica fino al 31 dicembre 2025. Il primo gennaio 2026 segnerà la data di entrata in vigore definitiva del penale telematico con le alternative analogiche che andranno definitivamente in soffitta.
Sull’andamento di “App” e sulla sperimentazione effettuata per le archiviazioni già dal gennaio 2024 il ministero della Giustizia ha svolto un costante monitoraggio. Secondo fonti ministeriali, la decisione di rinviare lo switch off al primo gennaio 2026 ha seguito una logica ben precisa. È stata presa «per contemperare due esigenze: da una parte, il rispetto degli impegni presi nell’ambito del Pnrr, impegni tra i quali c'è appunto il passaggio al penale telematico, e, dall’altra, la necessità di non stressare i magistrati e gli avvocati con l’imposizione di soluzioni tecnologiche che l’infrastruttura tecnologica non è ancora in grado di garantire al meglio, o che vede comunque gli operatori, i magistrati innanzitutto, ancora non abbastanza, sicuri».