Il processo penale telematico, realizzato tramite l'applicativo ' App', invece di produrre un beneficio in termini di maggiore efficienza sarà la causa della paralisi degli uffici giudiziari italiani. Così con un parere che verrà discusso oggi in plenum, il Consiglio superiore della magistratura ha stroncato senza appello una delle innovazioni più importanti degli ultimi anni realizzate dal ministero della Giustizia. Per i membri della sesta Commissione, si tratta di uno strumento «inidoneo a gestire un settore strategico quale è la giurisdizione penale», si legge nel parere.

Durissime, in particolare, le critiche nei confronti degli uffici di via Arenula, accusati di scarsa collaborazione. «Le riunioni si risolvono nella presentazione frontale, da parte del personale ministeriale, di semplici slide di descrizione delle funzionalità del programma, che tra l’altro non sempre corrispondono a quanto è poi possibile riscontrare nel suo utilizzo pratico», scrive il Csm. «E tutte le anomalie - prosegue - tempestivamente e ripetutamente segnalate, anche nelle relazioni periodicamente redatte, nessuna risulta essere concretamente presa in carico né tantomeno risolta». Le criticità evidenziate sono tantissime, tanto che risulta anche difficile riassumerle in un articolo di giornale.

Oltre ai numerosi e significativi “bug” dell’applicativo, che si rivela instabile e soggetto a improvvisi e frequenti crash di sistema determinando spesso la cancellazione di atti già caricati, tutti gli ambiti di applicazione della piattaforma sono fonte di problemi. «Spiace rilevare che App 2.0, introdotto da qualche mese negli uffici, non solo non ha posto rimedio ai difetti di App 1.0 ma ne ha, se possibile, peggiorato le prestazioni e l’usabilità; e ciò nonostante numerosi magistrati siano stati coinvolti dagli sviluppatori in una serie di colloqui e interviste», puntualizzano dal Csm. Alcuni errori, va detto, sono macroscopici. Ad esempio, i provvedimenti resi dal gip in esito alla richiesta di archiviazione del pm risultano visibili unicamente come “decreto di archiviazione totale” anche quando in realtà il provvedimento è diverso, come nel caso di imposizione di nuove indagini o di imputazione coatta. Lo status di indagato, poi, rimane tale anche dopo l’assunzione della qualifica di imputato a seguito di rinvio a giudizio, generando cosi solo confusione. Ma è soprattutto imperfetta e comunque problematica la migrazione degli atti da Tiap, il gestore documentale che App dovrebbe progressivamente sostituire e ciò «nonostante già l’anno scorso, in vista dell’entrata in vigore l’ 1 gennaio 2024 del Ppt, fosse stata assicurata la soddisfacente e compiuta migrazione degli atti».

L’accusa più grave rivolta dal Csm al ministero della Giustizia è comunque quella di non aver realizzato «qualsivoglia sperimentazione negli uffici». Ciò induce a seri motivi di perplessità se solo si «considera che in molti casi si tratta di riti che riguardano imputati sottoposti a misure cautelari». In teoria, infatti, la sua obbligatorietà era in calendario per il prossimo gennaio per il rito direttissimo, abbreviato e immediato.

In considerazione di questo quadro molto poco commendevole è stato comunque disposto un ennesimo rinvio al 31 dicembre 2025. Laconico il commento di Ciccio Zaccaro, segretario generale della corrente progressista Area: «Leggo con preoccupazione la proposta di delibera: la tecnologia deve essere al servizio della giustizia, per renderla più efficace. Ma servono programmazione, investimenti, formazione degli operatori ed assistenza. Su tutto questo, da tempo il ministero latita. Forse, invece che a riformare la magistratura Nordio dovrebbe preoccuparsi di fare funzionare meglio la macchina della giustizia».