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LaPresse
«Il giudice ha celebrato le esequie di un processo nato morto». Bastano le parole dell’avvocato Federico Bagattini a descrivere il caso Open. Che si è chiuso oggi, senza mai iniziare, dopo cinque anni di battaglie e due di udienza preliminare in cui diversi giudici, da quelli costituzionali a quelli della Cassazione, hanno sancito l’illegittimità dell’attività della procura di Firenze, che ha violato l’articolo 68 della Costituzione per via del sequestro «illegittimo» di mail, messaggi e perfino dell’estratto conto di Matteo Renzi, senza chiedere l’autorizzazione al Senato.
È proprio su questo punto che i giornali vedovi dell’inchiesta ribattono: come se si fosse trattato del solito “cavillo” e non di una violazione di legge, in questo caso da parte della procura. Con la conseguenza naturale che tutti e 10 gli imputati - tra i quali gli ex ministri Maria Elena Boschi e Luca Lotti, l’imprenditore Marco Carrai e l’avvocato Alberto Bianchi - sono stati prosciolti.
Nessun processo, dunque: gli elementi di prova, secondo la gup Sara Farini, che ha respinto la richiesta di rinvio a giudizio, non erano tali da poter prevedere una condanna, come richiesto dalla riforma Cartabia. Anche perché quegli elementi erano stati ritenuti fragili già dalla Cassazione, che aveva messo fortemente in dubbio l’intero impianto accusatorio. Secondo i magistrati, la Fondazione Open, la “cassaforte” della Leopolda, avrebbe agito come una “articolazione” di partito.
Nata per sostenere le iniziative politiche dell’ex presidente del Consiglio, secondo i pm Luca Turco e Antonino Nastasi avrebbe rimborsato spese a parlamentari e messo a loro disposizione carte di credito e bancomat. Nel novembre 2019, a circa un mese dalla fondazione di Italia viva, i pm fiorentini hanno aperto un fascicolo, ipotizzando il traffico illecito di influenze e il finanziamento illecito ai partiti, prendendo spunto da una plusvalenza di quasi un milione di euro realizzata dall’imprenditore Patrizio Donnini, ottenuta dalla cessione a una società del gruppo Toto di cinque aziende inattive, ma autorizzate alla produzione di energia eolica.
Approfondendo i legami tra il gruppo Toto e la fronda renziana del Pd, gli investigatori avevano individuato 700mila euro versati dalla società all’avvocato Bianchi per una consulenza legale legata a un contenzioso da 75 milioni di euro con Autostrade. Secondo gli inquirenti, una parte di questa somma sarebbe stata girata non solo a favore della Fondazione, ma anche al comitato per la riforma costituzionale (poi bocciata dal referendum).
Da qui una serie di perquisizioni che hanno coinvolto anche i finanziatori di Open, che non erano però indagati, e che ha portato al ritrovamento dell’archivio della Fondazione. Secondo la Cassazione, però, qualificare la Fondazione come un’articolazione politica è stato un errore. Perché non è stata considerata «compiutamente la disciplina dettata per le fondazioni politiche» dal dl 149/ 2013, «vigente all’epoca dei fatti», senza precisare «sotto quale profilo la concreta attività della Fondazione abbia esorbitato «l’ordinaria attività di una fondazione politica» e l’ambito dell’agire lecito» sancito dalle norme. Norme che riconoscono e consentono la raccolta di fondi da parte delle fondazioni e finanziamenti di iniziative in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne, parlamentari o consiglieri regionali, «in misura superiore al 10% dei propri proventi di esercizio dell'anno precedente».
Insomma, al netto della legittimità dei sequestri a carico di Carrai, totalmente negata dalla Consulta, l’impianto accusatorio non è mai stato troppo solido, almeno secondo il parere di diversi giudici. Che contestavano la mancanza di una qualsiasi verifica circa la possibilità che l’attività di Open fosse andata oltre l’ambito fisiologico della fondazione politica così come descritta dalla legge. Insomma, più che “fumus” si è trattato di fumo. Che però ha tenuto in sospeso un intero partito per cinque anni, durante i quali l’attività della procura di Firenze si è concentrata sull’intera famiglia Renzi. Che ha replicato denunciando più volte i magistrati, sempre archiviati dalla procura di Genova. Nelle ore precedenti alla decisione della gup Farini, infatti, il pm Turco, prossimo alla pensione, ha depositato l’appello contro la parziale assoluzione dei genitori del senatore nel procedimento che a febbraio del 2019 fece finire ai domiciliari Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli.
Gli ultimi cinque anni, ha dichiarato Renzi su X, che ha ringraziato famiglia, amici e avvocati, «li ho vissuti da “appestato”. C’è un pm che in questi anni ha maciullato la mia famiglia. Dopo anni di sofferenza oggi arriva la notizia: prosciolto. Al pm che mi ha accusato – Luca Turco, lo stesso che ha aggredito la mia famiglia – non ho niente da dire. Mi spiace solo che vada in pensione dopodomani (venerdì, ndr) senza pagare per le sue perquisizioni illegittime e per la sua indagine incostituzionale. Chi sbaglia paga vale per tanti italiani, non per lui. Volevano farmi fuori con una indagine farlocca. Non ce l’hanno fatta. Ripartiamo insieme. Oggi ha perso il giustizialismo e ha vinto la giustizia. E chi mi aggredisce con indagini, norme, campagne ad personam non mi fa paura. Anzi, mi rende più forte». L’inchiesta portò però a una serie di conseguenze politiche. A partire dalla scelta del Pd di non ricandidare Lotti.
La morte di questo processo, ha sottolineato Bagattini - che difendeva Renzi insieme a Gian Domenico Caiazza, «era stata certificata già 3 anni fa allorquando la Corte di Cassazione per tre volte aveva detto che nessun reato neppure era ipotizzabile quindi il sequestro doveva essere annullato con la distruzione di tutte le copie eventualmente realizzate. Poi la Corte costituzionale aveva ribadito come certi atti avrebbero mai potuto essere utilizzati. E quindi abbiamo perso tempo. Peccato per la onorabilità degli imputati. Peccato per i contribuenti che hanno speso inutilmente un sacco di soldi».
Per Boschi è la fine di un incubo. «Da avvocato conoscevo l’assurdità delle accuse - ha dichiarato -. Da parlamentare ero certa della correttezza del nostro operato. Ma da donna ho sofferto molto, quasi sempre in silenzio. Ringrazio Giulio per avermi abbracciata e capita. Ringrazio i miei genitori e i miei fratelli, tutta la famiglia, per avermi aiutata e sostenuta, a cominciare da mio padre che aveva dovuto soffrire un trattamento persino peggiore ma altrettanto ingiusto. Appuntamento alla prossima Leopolda, a ottobre 2025. Non smettiamo di lottare per un Paese più giusto. E più garantista».