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«L’Italia ha estremo bisogno di conoscere ogni frammento del contesti, delle causali, degli autori delle stragi e ciò non solo al fine di meglio comprendere cosa accadde davvero in quegli anni, allorché venne sferrato il più violento degli attacchi alla nostra democrazia», e poi ancora «tocca ai magistrati l'arduo compito di acquisire, a distanza di numerosi anni, ulteriori elementi per la ricostruzione completa della dinamica della strage di via D'Amelio che presenta, ancora oggi, punti drammaticamente irrisolti».
Questo ha detto il Procuratore generale di Caltanissetta Lia Sava durante la requisitoria di ieri del processo d’appello sul Borsellino quater tenutasi a Caltanissetta. Il Pg ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado. All'udienza di venerdì l'accusa ha depositato una serie di documenti tra cui le sentenze sulle stragi del ' 92 di Capaci e di via d'Amelio, i casellari giudiziari dei boss che avrebbero avuto a che fare con Gaspare Spatuzza, il collaboratore di giustizia le cui dichiarazioni hanno consentito di riaprire le indagini sulla strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. L'avvocato Flavio Sinatra, legale dei boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, aveva chiesto un termine per esaminare tutta la documentazione e per questo motivo l'udienza era stata rinviata a ieri.
Imputati oltre a Madonia e Tutino, condannati in primo grado all'ergastolo per la strage di via d'Amelio a Palermo, ci sono anche i falsi pentiti Francesco Andriotta, Calogero Pulci e Vincenzo Scarantino. I primi due sono stati condannati a 10 anni per calunnia. Nei confronti del terzo, invece, è stato dichiarato il «non doversi procedere per pervenuta prescrizione in ordine al reato di calunnia pluriaggravata». Al ' picciotto della Guadagna' è stata riconosciuta l'attenuante dell’art. 114 terzo comma. Cioè i giudici di primo grado hanno riconosciuto che Scarantino ha effettuato la calunnia in quanto «indotto a mentire».
Durante la requisitoria il Pg ha anche sottolineato che «i magistrati devono continuare a raccogliere prove certe di responsabilità penali che consentano di addivenire a sentenze definitive di condanna per tutti coloro, anche in ipotesi esterni a Cosa nostra, che possono avere concorso, a qualunque titolo, e per qualsivoglia scopo, alla realizzazione della strage di via D'Amelio e che, successivamente ai tragici eventi, possono avere mosso i fili, in maniera da determinare il colossale depistaggio delle relative indagini».
Infatti, come viene cristallizzato nelle motivazioni della sentenza di primo grado del Borsellino quater, si è trattato di «uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana». E, di fatto, la parte più complessa è l’attività di ricostruzione dei fatti che concretizzano un vero e proprio depistaggio a seguito della strage: con riguardo ai medesimi, infatti, considerato inoltre il notevole lasso di tempo trascorso, la Corte era riuscita ad affermare essere avvenuti con certezza una serie di episodi, ma dubita sull’effettiva verificazione di altri e non riesce ad individuare l’identità di tutti i soggetti coinvolti.
Così come - parliamo sempre della motivazione della sentenza di primo grado -, il giudice ha dovuto anche affrontare la casuale che portò all’accelerazione della strage di Via D’Amelio. Viene citata ad esempio la testimonianza del pentito Antonino Giuffrè. La Corte aveva osservato come le ragioni dell’anticipata uccisione del giudice Borsellino siano state precisate dal collaborante Giuffrè, il quale ha dichiarato che i timori di Cosa Nostra fossero basati su due motivi: la possibilità che Borsellino venisse ad assumere la posizione di Capo della Direzione Nazionale Antimafia, e, soprattutto, la pericolosità delle indagini che egli avrebbe potuto svolgere in materia di mafia e appalti.
Anche il Procuratore generale di Caltanissetta Lia Sava, durante la requisitoria, ha parlato non solo della presunta trattativa stato mafia come probabile motivo di accelerazione della strage, ma anche delle «singolari vicende relative al rapporto “mafia e appalti”». Ricordiamo che parallelamente c’è il processo d’appello in corso sulla presunta trattativa e diverse testimonianze e prove documentali ammesse dalla Corte potrebbero essere decisive per raccontare tutta un’altra storia.