La procura di Perugia non ha la competenza per indagare sul presunto accesso abusivo a informazioni riservate nella banca dati della Dna. A stabilirlo il gip del Tribunale umbro, Angela Davila, che ha dunque sfilato al procuratore Raffaele Cantone l’indagine, nata da un esposto del ministro della Difesa Guido Crosetto, indicando Roma come sede competente. La decisione si fonda sull’eccezione sollevata dalla difesa dell’ex sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Antonio Laudati, indagato in concorso con il finanziere Pasquale Striano e tre giornalisti per accesso abusivo alle banche dati e rivelazione del segreto.

L’avvocato Andrea Castaldo, nel corso della precedente udienza, aveva depositato infatti una sentenza della Cassazione - la 43866 del 2024 - in base alla quale i magistrati della Dna, avendo una competenza nazionale e non territoriale, non rientrano automaticamente nel regime dell’articolo 11 del codice di procedura penale, quello che disciplina il trasferimento della competenza per garantire l’imparzialità del giudizio in caso di coinvolgimento di magistrati di un distretto. Castaldo ha formalizzato la stessa richiesta davanti al Riesame, dove si discute la richiesta di arresto della procura, per la quale la prossima udienza è fissata il 17 dicembre.

L’ordinanza del gip ricorda che la recente pronuncia della Suprema Corte, «decidendo su un conflitto negativo di competenza sollevato su una questione analoga e del tutto sovrapponibile a quella di cui al presente procedimento, ha affermato il seguente principio di diritto: “in tema di competenza, la disciplina dettata dall’art. 11 bis cod. proc. pen. si applica solo ove il magistrato addetto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, che assuma la qualità di indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato, sia stato applicato ad una direzione distrettuale antimafia ai sensi dell’art. 105 d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159, quando il fatto oggetto del procedimento penale rientri, ordinariamente, nella competenza dell’ufficio giudiziario presso il quale è stata disposta l’applicazione”, con motivazioni che qui si richiamano integralmente e pienamente si condividono».

All’epoca dei fatti, «l’indagato, Antonio Laudati, era magistrato in servizio presso la Dna e non era applicato ad alcuna Direzione distrettuale (dagli ultimi 10 anni); di conseguenza, mancano i presupposti di operatività delle discipline derogatorie di cui agli artt. 11 e 11 bis c. p. p.» «È andata nel modo che auspicavamo e che avevamo già indicato - ha commentato Castaldo -. Avevamo ravvisato delle situazioni. La prima la retrodatazione dell’iscrizione di Laudati in qualità di indagato, ma soprattutto che Perugia non era competente.

Lo avevamo già indicato, abbiamo avuto nel frattempo la conferma della sentenza della Corte di Cassazione che mi pare abbia un profilo indiscutibile, e oggi abbiamo anche depositato un precedente della Procura di Perugia che in un caso analogo si era espressa in favore della competenza di Roma». Molto probabilmente anche il Riesame si pronuncerà allo stesso modo, rendendo a quel punto il trasferimento a Roma effettivo. «La decisione non è vincolante - ha commentato Cantone -. Bisognerà attendere lo stesso il tribunale del Riesame, dopodiché si prenderà una decisione su come comportarsi».

Ma la questione, oltre che giudiziaria, è anche politica. Cantone, nelle scorse settimane, ha depositato un documento secondo il quale nel 2020 i vertici della Procura nazionale antimafia - all’epoca dei fatti guidata dall’attuale deputato 5 Stelle Federico Cafiero de Raho - sarebbero stati informati circa presunte anomalie nelle attività di Striano dall’allora procuratore aggiunto Giovanni Russo, con una relazione in cui venivano segnalate presunte interferenze del finanziere addetto al gruppo segnalazioni operazioni sospette sulle attività di altri gruppi di investigatori.

Sarebbe stato l’attuale procuratore nazionale Giovanni Melillo, a seguito di un lavoro di ricognizione interno alla Dna sulle attività di Striano, a rintracciare la relazione redatta da Russo fra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. In quel documento, non firmato né ufficializzato, Russo avrebbe segnalato una serie di “condotte anomale” e “interferenze” di Striano su altri gruppi di lavoro di investigatori alle sue dipendenze. Russo, però, non aveva mai fatto menzione di tale documento, nemmeno in Commissione Antimafia, dove è stato ascoltato nei mesi scorsi. A dare manforte a questa versione quella del luogotenente dell’Arma dei Carabinieri Gennaro Maurizio Salese, che ha raccontato di aver saputo da Russo di aver saputo che aveva informato de Raho.

L’ex capo della Dna, dal canto suo, ha respinto in maniera ferma tutte le accuse, minacciando denunce: «Alle Sos, Striano accedeva da una postazione presso il Nucleo di polizia valutaria, e gli accessi abusivi, quelli sui politici di centrodestra, Crosetto, Colosimo, Pichetto, Fascina e altri, sono del 2022, quando avevo lasciato da diversi mesi la Procura nazionale e mi era succeduto il procuratore Melillo. Questo dimostra ancora di più come l’attacco alla mia persona sia un attacco della maggioranza all’avversario politico: si tratta di delegittimazioni, denigrazioni, diffamazioni per corrompere la mia immagine derivante da tanti anni di impegno antimafia - ha spiegato de Raho al Fatto Quotidiano -. Russo (ex procuratore aggiunto della Dna e oggi capo del Dap, ndr) non mi ha mai parlato di Striano».