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Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio durante lo svolgimento del question time alla Camera dei Deputati a Roma, Mercoledì, 30 Ottobre 2024 (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Minister of Justice Carlo Nordio in occasion of the question time in the Chamber of Deputies in Rome, Wednesday, October 30 2024. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse )
Durante il secondo mandato di Berlusconi a Palazzo Chigi, concluso nel 2006, Giulio Tremonti inventò una curiosa formula: «Siamo il primo Esecutivo all’opposizione dello Stato». Voleva dire che lo slancio, o il presunto slancio della “rivoluzione liberale” berlusconiana era mortificato dalle resistenze, dal sabotaggio silenzioso e invisibile dei grand commis, delle figure tecniche, spesso provenienti dalla magistratura, che presidiavano posti chiave nei ministeri e remavano contro.
Forme di “boicottaggio interno” ci sono sempre, in tutte le maggioranze. È la dialettica politica, certo. Nel caso del governo Meloni, il fenomeno è in via di ridimensionamento almeno sul fronte giustizia. Lo attestano il rilancio delle leggi sulle intercettazioni e la compattezza sulla separazione delle carriere. Ma c’è una riforma importante quanto perduta, invisibile: la riforma della prescrizione.
È stata approvata in prima lettura alla Camera lo scorso 16 gennaio. Una vita fa. Il Senato dovrebbe semplicemente licenziare il testo così com’è, senza modifiche: bilanciamenti e rifiniture sono già state ampiamente studiate e inserite nel corso dell’esame a Montecitorio, nel pieno accordo fra tutte le forze di governo, oltre un anno fa. Ma a Palazzo Madama non sono neppure cominciate le audizioni in commissione Giustizia. Non si parla di un termine per gli emendamenti. Figurarsi della data di approdo in aula. Di più: l’argomento prescrizione è stato misteriosamente taciuto persino nel doppio vertice convocato dal guardasigilli Carlo Nordio a via Arenula mercoledì scorso. Come se fosse un tabù.
A nulla è servita l’incursione del più garantista fra i senatori di maggioranza, l’azzurro Pierantonio Zanettin, che a inizio ottobre era riuscito a strappare alla leghista Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia, e ai colleghi di FdI l’impegno a “scongelare” il dossier, in cambio dell’ok a un ulteriore, e pleonastico, ciclo di audizioni. È il segno che anche in tempi di prevalente concordia sulla giustizia, il centrodestra non sempre procede con granitica unità.
I motivi sono di ordine politico: sono nelle perplessità di Fratelli d’Italia. Che pure è protagonista, a cominciare da Giorgia Meloni, della resa dei conti con la magistratura. Non mancano dal partito della premier, i messaggi netti contro un ordine giudiziario che, «dalle pronunce sui migranti alle parole del sostituto pg di Cassazione Marco Patarnello sembra essere entrato in guerra col governo di centrodestra», per citare la senatrice FdI Susanna Campione. Eppure non su tutti i dossier i meloniani sono in perfetta sintonia con i garantisti della maggioranza, con FI. Vale per le intercettazioni come per la prescrizione.
Va chiarito: il partito di Meloni non è contrario alla riforma sui “tempi” del processo penale. La sostiene. L’ha auspicata prima ancora della vittoria alle Politiche di due anni fa. La primissima linea di Fratelli d’Italia sulla giustizia, l’attuale sottosegretario Andrea Delmastro, disse: «La prescrizione sostanziale è un principio di civiltà, mai più cittadini indagati e imputati a vita secondo la sgrammaticata parentesi bonafediana». Vero è che con la riforma Cartabia i rischi di processi infiniti sono stati di fatto eliminati: è tuttora in vigore il meccanismo dell’improcedibilità, che fa decadere il giudizio d’impugnazione qualora vengano sforati i limiti per ciascuna fase processuale.
Ma con le norme introdotte dall’ex ministra, resta possibile il paradosso di un’accusa che può restare in piedi nonostante l’epoca del presunto reato sia così lontana da aver visto trascorrere i termini di estinzione. C’è sì l’improcedibilità, ma c’è tuttora anche il “blocca- prescrizione” di Bonafede: dopo la condanna in primo grado, il termine di estinzione del delitto non si calcola più. Non è il massimo.
E la riforma del centrodestra pone rimedio all’abominio giuridico, con la soppressione definitiva della riforma targata M5S. Eppure non piace ai magistrati: che sono stati capaci di contestare persino una riforma del genere, ispirata alla relazione Lattanzi, cioè alla via maestra indicata dalla commissione di saggi, nominata nel 2021 da Marta Cartabia e guidata dal presidente emerito della Consulta Giorgio Lattanzi.
Ai presidenti delle 26 Corti d’appello italiane non andava bene. Pretesero, in una lettera a Parlamento e guardasigilli, una norma transitoria che rendesse le nuove norme efficaci solo per i reati successivi all’entrata in vigore. Richiesta poco comprensibile: la prescrizione è istituto di “diritto sostanziale”, si applica in base al principio del favor rei. Vuol dire che se pure la riforma fosse accompagnata dalla clausola di “validità solo per il futuro”, qualunque indagato o imputato potrebbe invocare l’efficacia retroattiva delle nuove norme, qualora queste determinassero l’estinzione del reato.
Tanto era poco comprensibile la richiesta delle Corti d’appello che Nordio, il suo vice Francesco Paolo Sisto e i due sottosegretari Andrea Delmastro e Andrea Ostellari concordarono, a fine 2023, di ignorare le richieste dei magistrati, e diedero via libera alla nuova prescrizione. Dopodiché il silenzio. Legato appunto alle riaffiorate perplessità di FdI. E slegato dalle questioni relative ai target del Pnrr, come si sarebbe potuto credere.
I magistrati, infatti, nella citata lettera, sostennero che un’immediata applicazione della riforma avrebbe costretto i loro uffici a riconteggiare i termini di estinzione dei reati per tutti i giudizi pendenti in secondo grado. Ma da via Arenula assicurano che gli obiettivi di smaltimento dell’arretrato concordati con l’Ue non sarebbero comunque messi in pericolo. Nessun problema di efficienza dunque: solo ritrosie politiche.
Tanto è misterioso, il destino della prescrizione, che nelle scorse settimane Zanettin provò a interpellare via Arenula per capire i motivi della paralisi. Il sottosegretario Ostellari spiegò che era in corso «una valutazione da parte del ministero». La valutazione continua. Alla riunione di mercoledì scorso convocata da Nordio, si è registrato un piccolo incidente, che potrebbe aiutare a capire la chiave del mistero. Fratelli d’Italia ha chiesto di inserire nella legge Zanettin che fissa in 45 giorni il limite perle intercettazioni, un’eccezione per le violenze di genere.
È stata Forza Italia a far presente che così quel provvedimento, già approvato a Palazzo Madama, avrebbe dovuto compiere un secondo giro, e ha perciò chiesto di approvare la deroga in un diverso vettore normativo, senza toccare la “Zanettin”. Tanto hanno insistito, gli azzurri, da convincere gli alleati. Ce n’è voluto. Ed è chiaro che per la prescrizione ce ne vorrà ancora un bel po’.