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C’è aria di tensione nelle stanze del Csm. Dove le correnti, questa volta, sembrano essere d’accordo, almeno in linea di principio, nel “condannare” l’uscita improvvida del vicepresidente Fabio Pinelli. Che nel ribadire l’ovvio - le degenerazioni di natura politica culminate nella notte dell’Hotel Champagne - ha finito per tirare dentro anche Sergio Mattarella, presidente del Csm, in quanto Capo dello Stato, ed elemento di continuità tra la precedente consiliatura e quella attuale.
A tarda serata, la voce che viene fuori da Palazzo dei Marescialli, sussurrata e mai apertamente rivendicata, è che Pinelli, in realtà, stia giocando anche un’altra partita, sponsorizzando la riforma del Csm. Che restringerebbe di molto il potere di Palazzo dei Marescialli, limitandone il ruolo politico, quello che il vicepresidente ha assegnato, nella sua sfortunata conferenza stampa, ad un altro organo: l’Associazione nazionale magistrati. Quindi niente più rischio «terza Camera», quello che, stando alla sua ricostruzione, avrebbe rappresentato la precedente consiliatura.
In soccorso di Pinelli, ieri, è arrivato anche il senatore forzista Maurizio Gasparri. Che non a caso ha rilanciato la riforma: «Il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, in queste ore ha aperto una riflessione sulle esondazioni del passato del Csm. Qualcuno ha detto che critica Mattarella. Niente affatto - ha sottolineato ai microfoni del Tg2 -. Perché Mattarella, quando scoppiò lo scandalo Palamara, fu il primo ad esprimere sconcerto parlando di “degenerazione del sistema correntizio e inammissibile commistione fra politici e magistrati”, che noi ci auguriamo si superi con una buona riforma. Pinelli si riferiva a quelle vicende che Mattarella censurò duramente. Chi inventa polemiche tra il Csm ed il Quirinale sbaglia. La sinistra, Bazoli ed altri, vorrebbero impedire le riforme che, invece, devono rendere più trasparente ed efficace la giustizia italiana. Noi andremo avanti e non ci faremo intimidire dalle minacce di Cafiero de Raho e dalle bugie del Pd».
Pur tentando di salvare il salvabile con un comunicato stampa “correttivo” in zona Cesarini - cercando di negare parole però rimaste agli atti -, Pinelli ha di fatto aperto anche una falla tra la propria poltrona e quella degli altri consiglieri. Con un unico consigliere a dirsi d’accordo con la critica “politica” del vicepresidente, ovvero Andrea Mirenda, l’indipendente che non ne vuole sapere di sacrificare la sostanza per salvare la formalità. Subito dopo le dichiarazioni del vicepresidente, come raccontato sul Dubbio, 13 consiglieri togati - Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Genantonio Chiarelli, Tullio Morello e Antonello Cosentino di Area, Michele Forziati, Antonino Laganà, Roberto D’Auria e Marco Bisogni di Unicost, Roberto Fontana (indipendente) e Domenica Miele di Md, ai quali si è poi aggiunto Dario Scaletta di MI - hanno infatti preso le distanze dal vicepresidente, con una nota critica. «Non sappiamo su quali basi fattuali e giuridiche il vicepresidente fondi tali discutibili affermazioni - hanno sottolineato -. È certo che noi non le condividiamo minimamente, né in relazione alla lettura del ruolo costituzionale del Csm che esse sottendono, né in relazione al giudizio sull’operato dello scorso Consiglio, che ha dovuto affrontare gravi e delicate vicende mantenendosi sempre nei limiti delle proprie prerogative».
Una posizione che non ha trovato d’accordo Mirenda. «Condivido pienamente le conclusioni del vicepresidente circa la natura non politica dell’organo di governo autonomo della magistratura», ha sottolineato, attribuendo «una dimensione spiccatamente fantasiosa» alle polemiche che hanno coinvolto Pinelli, «spingendosi persino all’azzardo di coinvolgere il Capo dello Stato, oltre ogni logica evidenza. Come non condividere - ha aggiunto - il giudizio tutt’altro che positivo sulla precedente consiliatura, i cui molti protagonisti - unitamente a taluni odierni “laudatores” - paiono dimentichi di quanto accaduto?». Ma «diversamente da quanto assume il vicepresidente», le «note e pervasive logiche correntizie, già bollate di “modestia etica” proprio dal Capo dello Stato» rappresentano «tutt’ora - data la persistente divisione consiliare in “operose” conventicole dedite alla sodalità - la più subdola delle minacce all’indipendenza del singolo magistrato», ha concluso.
Ieri, invece, sono stati i consiglieri di MI a diffondere una nota e, pur prendendo atto «delle opportune precisazioni e puntualizzazioni che sono seguite da parte dello stesso vicepresidente», hanno ricordato che «sulle questioni istituzionali occorre equilibrio e ponderazione, nei toni come nei contenuti. Il prestigio e la centralità dell’organo di governo autonomo della magistratura si difendono dimostrando, nelle scelte concrete, che l’unico criterio guida è l’interesse delle istituzioni e della giurisdizione. A questo principio è informata la nostra attività quotidiana ed è così che intendiamo tutelare l’istituzione consiliare, nella consapevolezza della enorme responsabilità che grava su ciascuno di noi nonché nella doverosa distanza da posizioni facilmente strumentalizzabili per fini diversi da quelli strettamente istituzionali. Vogliamo infine esprimere il massimo rispetto e apprezzamento per il lavoro svolto in condizioni difficili da chi ci ha preceduto nel governo autonomo della magistratura», hanno fatto sapere Paola D’Ovidio, Edoardo Cilenti, Maria Vittoria Marchianò, Maria Luisa Mazzola, Bernadette Nicotra ed Eligio Paolini. Facendo dunque salire a 19 i “rimproveri”: tutti i togati, tranne Mirenda.
E a queste voci si sono aggiunte anche quelle delle toghe di MI della scorsa consiliatura, ovvero Loredana Miccichè, Antonio D’Amato, Paola Maria Braggion e Maria Tiziana Balduini, che hanno rivendicato il lavoro fatto. «Ci spiace che l’attuale vice presidente, con le dichiarazioni rilasciate in conferenza stampa, continui a ricordare solo i momenti difficili della scorsa consiliatura, senza dare atto né del lavoro svolto, né del suo contributo per la tenuta dell’Istituzione», hanno sottolineato. Insomma, Pinelli ha compattato le toghe. Come nemmeno i ministri della Giustizia, con le loro riforme, sono riusciti a fare.