«Dopo 2589 giorni si chiude un incubo giudiziario». Dopo sette anni finisce nel nulla l’inchiesta a carico di Stefano Esposito, ex senatore del Pd, per il quale il giudice per le indagini preliminari di Roma, Angelo Giannetti, ha disposto l’archiviazione nell’ambito della vicenda “Bigliettopoli”, una storia di presunti scambi di favori con ex titolare dell’agenzia “Set Up Live”, Giulio Muttoni, che organizzava e promuoveva concerti e spettacoli, archiviazione chiesta dagli stessi pm.

Il procedimento era stato aperto dalla procura di Torino e poi spostato a Roma per competenza territoriale, come indicato dalla Cassazione. Ma sulla vicenda si era pronunciata la Corte costituzionale, che definì illegittime le intercettazioni a carico di Esposito, effettuate senza l’autorizzazione di Palazzo Madama. La procura di Roma ha dunque chiesto alla polizia giudiziaria un’informativa che compendiasse le fonti di prova utilizzabili, dalla quale, stando alle conclusioni dei pm, non emergerebbe alcun indizio concreto.

Esposito era accusato di corruzione e traffico illecito di influenze, con riferimento a presunti favori a Muttoni. Secondo la procura di Torino, avrebbe usato la sua posizione politica per ottenere la revoca di un provvedimento antimafia per l’amico e l’intercessione in vari affari, tra cui la gestione di un atterraggio a Linate per Madonna e la gestione di una pista da bob a Cesana.

I pm capitolini hanno però evidenziato che la sussistenza di tali reati dipende dal fatto che gli atti possano, o meno, ritenersi atti dell’Ufficio e tendano a quel risultato. Cosa che, in questo caso, non sarebbe possibile. I prestiti concessi da Muttoni a Esposito nel 2010 e nel 2013, infatti, «non possono essere posti in relazione con la condotta che si ritiene essere stata “comprata”, svolta, come risulta, nell’anno 2015». Anche perché si è trattato di prestiti poi restituiti (l’ultimo nel 2016) ed è «irragionevole», secondo i pm, che Esposito abbia commesso la condotta illecita come contropartita per poi restituire le somme dovute.

Ma ciò che manca è, appunto, la «condotta di ufficio», tanto da rendere il giudizio sulla messa a disposizione della funzione «congetturale spunto investigativo, non confermato dall’esito delle indagini». Se è vero, infatti, che Esposito si è interessato alla revoca dell’interdittiva che aveva colpito la Srl di Muttoni, l’aiuto «non è mai consistito nell’esercizio dei poteri», essendosi l’ex senatore limitato ad indicare Muttoni a Raffaele Cantone - all’epoca capo dell’Anac - quale «persona offesa dell’azione ‘ndranghetista, senza chiedergli, né ottenere alcunché di contrario a norme di legge». Cantone si limitò a dare consigli sulle procedure da seguire e «avere acquisito conforto per individuare la procedura più idonea al risultato è fatto lecito, del tutto estraneo alla tipicità della fattispecie penale in esame». Criticità che riappare nell’essersi speso per procurare un avvocato a Muttoni.

Ma non solo: per i regali sospetti - una tapis roulant e un orologio -, non sono stati trovati riscontri che dimostrino la corruzione, così come documenti e fatture dimostrano il pagamento di utenze telefoniche e locazioni, ferma restando la «irragionevolezza del dato temporale, sin troppo precoce, rispetto all’atto di ufficio immaginato ed atteso e l’assenza di una condotta corrispettiva provata, rientrante nelle prerogative del parlamentare». Per quanto riguarda l’aereo di Madonna, poi, Esposito si sarebbe limitato a chiedere di valutare la possibilità di un atterraggio notturno - cosa non strana in eventi eccezionali e che poi non è avvenuta -, a termini di regolamento, senza pressioni o violazioni.

Per quanto riguarda la presunta turbativa d’asta al Forum del Terzo Settore, infine, le fonti di prova «non rilevano alcunché». Sono lapidarie le parole dei pm Rosalia Affinito e Gennaro Varone: «Le prove considerate nella loro individualità e, quindi, in sintesi logica non rivelano mai, in alcun caso, la loro concreta, ragionevole idoneità a dimostrare l’esistenza di un patto illecito per l’esercizio di funzioni pubbliche, né per una spendita di carisma, derivante al ruolo apicale, per ottenere entrature illecite verso pubblici ufficiali, a scapito di chi non fosse minuto delle medesime credenziali». Considerazioni accolte dal gip, che ha dunque messo una pietra tombale sulla vicenda, «basata - ha commentato Esposito - su congetture e condotta in violazione della legge».

Questa archiviazione - ha aggiunto - «segna la fine di una sofferenza non raccontabile, ma non cancella le sofferenze e le conseguenze a lungo termine. Per sette anni sono stato vittima di accuse infamanti e di gravi violazioni dei miei diritti. Non considero questa una vittoria. Le cicatrici che porto, così come quelle inflitte alla mia famiglia, non potranno mai essere cancellate da niente e da nessuno. La giustizia - ha concluso - ha ristabilito la verità, ma il prezzo che ho pagato è stato altissimo. Cercherò di continuare a parlar di questa vicenda affinché simili ingiustizie non si ripetano».

A commentare l’archiviazione anche il leader di Italia viva Matteo Renzi: «La vita di Stefano Esposito è stata massacrata da una indagine assurda e priva di ogni fondamento - ha scritto su X -. Oggi che la vicenda si chiude con la conferma della totale innocenza di Stefano, mando un pensiero alla sua famiglia. E sono contento che almeno noi siamo stati tutti i giorni, per 2589 giorni, al suo fianco. Al fianco della giustizia contro il giustizialismo».