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Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti
Già quattro anni il guardasigilli Carlo Nordio (all’epoca non era ancora a via Arenula) intervenne sul Messaggero per stroncare la legge sulla castrazione chimica «per pedofili e stupratori» presentata sempre da Matteo Salvini nel dicembre del 2018. Un vecchio pallino della Lega che, cavalcando l’onda della cronaca nera, la propose per la prima volta nel lontano 2005 su iniziativa di Roberto Calderoli.
«Un ritorno al Medioevo» scrisse Nordio sul quotidiano romano, smontando pezzo per pezzo il provvedimento del governo giallo-verde: alla fine l’emendamento di Lega e FdI al cosiddetto “Codice rosso” (che stabiliva una corsia preferenziale per i reati di violenza domestica e di genere) non riuscì a passare. Il leader leghista, in piena campagna per le elezioni europee, aveva invece promosso con decisione la sua idea, parlando di «una cura democratica e pacifica», sostenuto dall’allora ministra della pubblica amministrazione Giulia Buongiorno per la quale si trattava di «una proposta all’avanguardia» e per di più da applicare su base volontaria, in alternativa al carcere.
Nordio sottolineò con estrema precisione quanto questo particolare aspetto fosse incompatibile con i diritti sanciti e protetti dalla nostra Costituzione negli articoli 27 e 32: «Questa alternativa sovvertirebbe completamente la struttura del nostro codice e della Costituzione, dove la pena ha una funzione preventiva, retributiva e rieducativa. Si può concedere che la castrazione prevenga nuovi crimini; ma se le attribuiamo anche una funzione retributiva ciò significa che torniamo alla vecchia pena corporale».
Ci sono poi gli effetti: i governi che hanno adottato la castrazione chimica (13 in Europa, 12 su base volontaria, e la sola Polonia come provvedimento obbligatorio per gli stupratori di bambini e familiari) sostengono che la cura è reversibile e che, terminata la somministrazione ormonale, gli effetti spariscono. Ma la comunità scientifica su questo punto è fortemente divisa, molti oncologi hanno infatti segnalato i pesanti effetti collaterali (osteoporosi, anemia) subiti dai loro pazienti sottoposti allo stesso trattamento per limitare i danni dei tumori alla prostata e alla mammella.
In entrambi i casi, spiegò Nordio, si è davanti a una contraddizione giuridica insormontabile: «Se la “castrazione” è un surrogato della pena, dev’essere provvisoria, e di conseguenza è inefficace. Se invece è irreversibile, costituisce una menomazione permanente come l’amputazione di un arto, e quindi, incidendo su un diritto indisponibile, è manifestamente incostituzionale». Nordio non fu il solo a segnalare l’incompatibilità costituzionale del provvedimento, con lui diversi giuristi tra cui il giudice emerito della Consulta Sabino Cassese che parlò senza mezzi termini di «misura inumana e contraria alla dignità della persona».