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Ha suscitato molto scalpore, non solo negli Stati Uniti, la decisione della Corte d'appello di New York di annullare con rinvio la condanna dell'ex re di Hollywood Harvey Weinstein a 23 anni di prigione per reati sessuali.
Su sette giudici, quattro, tra cui tre donne, hanno votato per ribaltare il verdetto di primo grado perché hanno ritenuto che l’imputato non abbia avuto un processo equo.
Nonostante l’uomo, 72 anni, resti comunque in carcere per un'altra condanna a 16 anni per stupro in California, le presunte vittime hanno condiviso parole di rabbia e frustrazione per questa ulteriore crepa nel Movimento # metoo.
L’attrice Ashley Judd, una delle donne che pubblicamente lo ha accusato di violenze e abusi, ha parlato di «atto di tradimento istituzionale». Cyrus R. Vance Jr., l'ex procuratore distrettuale di Manhattan che ha supervisionato le indagini e l'accusa di Weinstein, in una lunga dichiarazione si è detto «scioccato» dalla decisione che «non ha fatto avanzare la giustizia».
Diverso il parere dell’avvocato di Weinstein, Arthur Aidala: «Ci sono alcune persone che sono molto impopolari nella nostra società, ma la legge va applicata anche per loro. In questa Corte, in quel processo, la legge non è stata applicata in modo equo a Harvey Weinstein. Lo stavano perseguendo per dei peccati, non per dei crimini».
La questione infatti è prettamente giuridica e non si tratta certo di un cavillo ma di una violazione del diritto di difesa dell’imputato, sotto due aspetti, come vi spieghiamo dopo aver letto le 77 pagine della motivazione della Corte di Appello.
Al centro della decisione di annullare la condanna c’è il cosiddetto «testimone di Molineux», che si riferisce ai testimoni di un processo che sono autorizzati, nell'udienza preliminare, a testimoniare su atti criminali che l'imputato non è stato accusato di aver commesso.
Durante il processo, infatti, i pubblici ministeri - che hanno proceduto solo con due presunte vittime iscritte agli atti, e che hanno accusato Weinstein di aver abusato sessualmente di loro ma anche di aver avuto con lui rapporti consensuali in altri momenti - hanno cercato, per rafforzare la loro posizione debole in partenza, di persuadere i giurati che l'uomo aveva una lunga storia di utilizzo della sua posizione di rilievo come produttore di Hollywood per attirare giovani donne in camere d'albergo e aggredirle sessualmente. Per farlo, hanno chiamato a testimoniare altre donne che hanno dichiarato
di essere state aggredite da Weinstein. Tuttavia l’uomo non è stato accusato di aver assalito queste donne, ma il giudice Burke ha permesso loro di comparire per l'accusa come testimoni, noti anche come testimoni di «atti illeciti precedenti».
Poiché la legge di New York è aperta all'interpretazione su quando quei testimoni sono ammessi, alla luce della decisione della Corte di Appello, la mossa si è rivelata una violazione di una regola cardine dei processi penali: gli imputati devono essere giudicati sugli atti di cui sono accusati.
«Nessuna persona accusata di qualche illegalità – si legge nelle motivazioni - può essere giudicata sulla base di prove di crimini non contestati che servono solo a stabilire la propensione dell'accusato verso un comportamento criminale».
Inoltre la Corte d'appello ha convenuto con la difesa di Weinstein che il giudice del processo ha violato il suo diritto di testimoniare in propria difesa. Il giudice di primo grado aveva stabilito che se Weinstein avesse testimoniato, i pubblici ministeri avrebbero potuto interrogarlo su una lunga storia di cattiva condotta, tra cui le accuse di aver lanciato del cibo contro un dipendente e di aver preso a pugni suo fratello durante una riunione di lavoro.
La sentenza d'appello ha affermato che ciò ha influenzato in modo «inammissibile» la decisione di Weinstein di non testimoniare al processo.
Secondo la Corte d'appello il giudice di primo grado «ha abusato della sua discrezionalità in modi che hanno portato a errori non innocui».
Ciononostante la decisione ha praticamente spaccato la giuria e ha creato forti dissensi all’interno. Al termine delle motivazioni, possono essere lette le dissenting opinion alla decisione della maggioranza.
«La determinazione della maggioranza perpetua nozioni obsolete di violenza sessuale e permette ai predatori di sfuggire alla responsabilità», ha scritto il giudice Madeline Singas, aggiungendo che le regole dei testimoni si erano evolute per essere più flessibili. «Ignorando la realtà giuridica e pratica di dimostrare una mancanza di consenso, la maggioranza ha ammesso una narrazione ingenua».