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Il pm Fabio De Pasquale
Il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale non ha più i “prerequisiti” dell’imparzialità e dell’equilibrio. Con un provvedimento più unico che raro, smentendo peraltro quanto affermato dal Consiglio giudiziario del capoluogo lombardo, il Csm non ha confermato ieri De Pasquale nell’incarico semidirettivo. Una non conferma, come stigmatizzato dal togato Andrea Mirenda, che arriva a tempo abbondantemente scaduto essendo il quadriennio entro il quale bisogna effettuare la valutazione terminato addirittura a dicembre del 2021.
«Risulta dimostrata l’assenza dei prerequisiti della imparzialità e dell’equilibrio, avendo reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo né equo rispetto alle parti nonché senza senso della misura e senza moderazione», si legge nella delibera approvata con 23 voti, fra cui quello del vice presidente Fabio Pinelli, 4 astenuti (i togati Roberto Fontana, Mimma Miele, Marcello Basilico e Tullio Morello che avevano chiesto invece il ritorno della pratica in Commissione, dove era stata approvata all’unanimità, in attesa della definizione del processo penale, e cinque assenti fra cui i due vertici della Cassazione, Margherita Cassano e Luigi Salvato).
«D’altra parte, la pervicacia dimostrata in tutte le sedi in cui è stato chiamato a illustrare il proprio operato è idonea a dimostrare come, diversamente da quanto ritenuto dal Consiglio giudiziario, le condotte poste in essere dal magistrato in valutazione, lungi dall’essere contingenti e occasionali, rappresentino un modus operandi consolidato e intimamente connesso al suo modo di intendere il ruolo ricoperto», si legge nella delibera che ha messo fine al suo incarico di responsabile del dipartimento reati di corruzione internazionale.
La vicenda, stranota, riguarda la gestione del processo Eni Nigeria dove De Pasquale è stato accusato di aver nascosto prove che dimostravano l’innocenza degli imputati, poi tutti assolti. A seguito di questa condotta, De Pasquale è ora a dibattimento a Brescia per omissione d’atti d’ufficio. Nei suoi confronti risulta poi aperto un procedimento disciplinare e un procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, entrambi però sospesi per pregiudizialità penale.
De Pasquale durante le audizioni ha sempre difeso il proprio operato che sarebbe però stato finalizzato «a preservare – nonostante significative evidenze di segno contrario – la credibilità di un coimputato che aveva reso dichiarazioni etero-accusatorie e, quindi in sostanza a salvaguardare, attraverso la protezione della credibilità di dette dichiarazioni, la ricostruzione dei fatti proposta dalla pubblica accusa, con conseguente violazione del diritto degli imputati ad avere un giusto processo».
«Un comportamento», quello di De Pasquale, basato sulla «valutazione incoerente con le prerogative e le facoltà del pm e con il suo statuto costituzionale, in un processo improntato, comunque, alla necessità di una piena ostensione degli elementi di prova raccolti, rispetto ai quali al pm non è attribuita, nel corso del giudizio, l’insindacabile e pregiudiziale valutazione del portato dimostrativo dei suddetti elementi e che invece nel contraddittorio delle parti devono essere giudicati da un giudice terzo».
L’ormai ex procuratore aggiunto di Milano aveva anche cercato di costringere Marco Tremolada, presidente del collegio del processo Eni, che non gli era “gradito” perché troppo severo, ad astenersi sulla base della testimonianza, poi rivelatasi tarocca, di Piero Amara, «nella consapevolezza di non poter proporre una credibile ricusazione per la evidente contraddittorietà e inverosimiglianza degli elementi a sostegno».
«Il racconto - prosegue la delibera - ha dell’incredibile, nel senso che non si comprende come De Pasquale potesse davvero ritenere di dover informare a processo in corso Tremolada dell’esistenza di dichiarazioni che lo accusavano di un delitto gravissimo ed infamante per un giudice, ossia la corruzione in atti giudiziari commessa nell’ambito di quel processo, e ciò intendesse fare nel contesto di una pubblica udienza – con conseguente amplificazione mediatica – e comunque al di fuori dei binari previsti dal codice di procedura penale».
Piccola notazione: la non conferma di De Pasquale ha offerto anche l’occasione per discutere in plenum di cosa potrebbe accadere se passasse la separazione delle carriere, con un pm pronto ad “accusare” - secondo ovviamente le toghe - le persone innocenti perché allontanato dalla cultura della giurisdizione che lo lega ora al giudice.
Gasparri esulta
«Leggo con interesse la decisione del Csm di declassare De Pasquale. Mi ricordo le imprese del passato, non soltanto quelle riguardanti il caso Eni-Nigeria che potrebbero avere causato questa decisione punitiva del Csm nei suoi confronti. Spero che il Csm guardi anche altri capitoli, perché di persone da declassare nel mondo togato ce ne sono tante. Come, ad esempio, le persone che non accettano le sentenze definitive della Cassazione che smentiscono le azioni infondate che hanno avviato per anni. Chi lo sa che il Csm non si guardi attorno e prosegua in questa ottima azione disciplinare che ha deciso di avviare». Lo dichiara il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri.