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Emiliano Fittipaldi, giornalista de "Il Domani"
Emiliano Fittipaldi, vicedirettore del Domani, quotidiano che annovera molti giornalisti d'inchiesta, in un articolo apparso ieri dal titolo “il Ministro della Giustizia non conosce la giustizia” sostiene che i riferimenti fatti da Carlo Nordio alle indebite divulgazioni delle intercettazioni captate nell’inchiesta di Perugia sull’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara sarebbero erronei. Ciò in quanto il decreto Orlando «si applica ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020» laddove l’indagine perugina nei confronti di Palamara è del maggio 2019.
Secondo Fittipaldi, poi, Nordio avrebbe anche «scritto il demenziale decreto legge sul rave». Ci permettiamo di far osservare a Fittipaldi che il decreto sul rave è uscito dalle stanze del Viminale e non da quelle di via Arenula e che, per quanto riguarda il presunto errore sul decreto Orlando, le intercettazioni dell’inchiesta di Perugia sono state pubblicate dal Corriere, da Repubblica e dal Messaggero, a partire dal 29 maggio 2019 e a ritmo quotidiano, laddove non erano state depositate ai difensori e risultano pervenute al Consiglio superiore della magistratura soltanto il 3 giugno successivo.
Dovrebbe essere quindi facile comprendere che le divulgazioni pilotate di cui parla Nordio trovano la propria disciplina direttamente nell’articolo 326 del codice penale, “rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio”, e non nel decreto Orlando che prevede un complesso meccanismo di segretezza per le intercettazioni lecitamente depositate ritenute non rilevanti.
La differenza, che non pare sia stata colta dal vicedirettore del quotidiano di Carlo De Benedetti, non è solo nella rilevanza penale della condotta di coloro che hanno, il 28 maggio 2019 o prima, consegnato a ben tre organi di informazioni trascrizioni di intercettazioni quando queste erano ancora in corso presso l’autorità giudiziaria di Perugia, ma anche nella “finalità” da costoro perseguita. "Finalità” che non era certo quella di accertare i reati per i quali si procedeva, vale a dire la presunta e fumosa corruzione di Palamara, bensì quella di impedire che venisse nominato Marcello Viola procuratore della Repubblica di Roma.
Ci auguriamo che queste ovvie considerazioni costituiscano per il futuro una più solida premessa per comprendere la gravità di ciò che è successo, giustamente evidenziata da Nordio.