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Siamo così giunti al cuore dei temi affrontati da Beccaria, al punto che potrebbe affermarsi, senza tema di esagerare, che ogni altro argomento da lui espresso tendeva verso questo come scopo ultimo da trattare: la pena di morte.
Gli interrogativi sulla pena di morte attraversano tutta la storia del pensiero occidentale, il quale da sempre si è preoccupato di reperire un fondamento teorico ad una pratica che per molti secoli aveva soddisfatto la gestione del potere politico.
Non è certo questa la sede per censire le innumerevoli posizioni che sono state al riguardo elaborate, ma un punto fermo va comunque messo: Beccaria non propone alcun argomento teorico o filosofico contro la pena di morte, limitandosi a respingerla per motivazioni di carattere pratico e utilitaristico. Ciò non è senza rilievo per diverse ragioni.
Infatti, per un verso, si tratta di argomentazioni che possono essere ritenute valide da chiunque e dovunque, fatto questo particolarmente importante se si pensa che in quel tempo non vi era Stato ove la pena di morte fosse sconosciuta: il primo ad abolirla, come è noto, fu il Granducato di Toscana, per mano di Leopoldo, molto influenzato proprio dalle idee di Beccaria, il 30 novembre 1786.
Per altro verso, proporre motivi legati alla non utilità della pena di morte, espelleva in modo determinante dal dibattito ogni argomento di carattere teorico che potesse essere escogitato a favore, restringendo in modo sensibile il territorio del confronto tra i favorevoli e i contrari. Ebbene, Beccaria rigetta la pena di morte essenzialmente con due motivazioni, entrambe molto pratiche.
Innanzitutto, perché l’effetto deterrente che molti sostengono essa abbia, inducendo la collettività ad astenersi dal commettere gravi delitti, si fa cogliere come inesistente.
Con fine occhio di osservatore delle dinamiche sociali e psicologiche, Beccaria infatti rileva che la pena di morte “con la sua forza, non supplisce alla pronta dimenticanza”, e che essa “non ha mai distolti gli uomini determinati dall’offendere la società”.
Il giurista milanese sa bene che ciò che viene più difficilmente dimenticato dagli uomini non è un male grave e puntualmente individuato nel tempo – quale una esecuzione capitale, che appunto egli definisce uno “spettacolo”- ma la visione di un male, pur meno lacerante, ma duraturo nel tempo, tale da generare uno sgomento non transeunte – quale appunto una “perpetua schiavitù”, che oggi diremmo ergastolo ( il quale, non a caso, va abolito oggi proprio in quanto rappresenta una sorta di pena di morte diluita nel tempo).
La pena di morte non gode allora in punto di fatto di una reale forza deterrente verso la collettività, non mostra alcuna utilità. Da un secondo punto di vista, Beccaria ritiene assurdo in chiave psicologica e sociale che le stesse leggi dello Strato che puniscono l’omicidio, ne possano poi ordinare un altro allo scopo di sanzionare il primo.
Anche da questa prospettiva, la pena di morte mostra tutta la sua inconcludenza e la sua inutilità.
Infatti, si palesa del tutto inutile tentare di scoraggiare i sudditi dal commettere gravi reati, utilizzando leggi che, per punirli, legalizzassero proprio il comportamento punito.
Si tratta di una insanabile contraddizione che Beccaria non manca di denunciare non tanto in sede teorica, ma di pratica utilità, allo scopo di far intendere ai governanti come sia impossibile proporre un simile schema di pseudo- ragionamento, destinato a fallire in partenza appunto perché autocontraddittorio.
Come si è detto, queste idee dilagarono in Europa e, poco alla volta, tutti gli Stati, anche se a volte con grande lentezza, si risolsero ad abolire la pena di morte. Beccaria, da uomo esperto del mondo, sapeva bene quanta fatica ci sarebbe voluta per giungere a tale esito e, ricorrendo ad una immagine perfino poetica, scrive che “la storia degli uomini ci dà l’idea di un immenso pelago di errori, fra i quali poche e confuse, e a grandi intervalli distanti, verità soprannuotano”.
Egli non si faceva illusioni e sapeva quante resistenze si sarebbero incontrate lungo la via dell’abolizione delle esecuzioni capitali. Oggi, se essere europei espone a tante critiche e stigmatizza tante incapacità politiche, tuttavia giustifica un orgoglio: l’Europa è l’unico continente in cui tutti gli Stati – nessuno escluso – hanno abolito la pena di morte.
Questa si chiama civiltà: e la dobbiamo a Beccaria.