Ci sono diverse forme in cui si realizza la pari dignità. Il principio riguarda la posizione dell’avvocato e del magistrato. A primo va riconosciuta pari dignità con il secondo. Si deve fare in modo che tale a tale valore costituzionale si informi anche l’idea del carcere. Ai detenuti, come ai poveri, ai più deboli della società, va assicurata dignità come a tutti i cittadini. Si deve partire dal messaggio del Papa sui detenuti: la loro dignità sociale deve essere una battaglia da portare avanti, a fronte della condizione attuale delle carceri, del sovraffollamento, della violenza nei penitenziari. Il Santo Padre ci dice che “La speranza non delude mai”. E guarda appunto ai poveri e a chi è detenuto.

I diritti che la nostra Costituzione sancisce non possono essere negati ad alcuno. E sono perciò inaccettabili anche le minacce rivolte a un avvocato. È umana l’amarezza dei familiari di una giovane donna vittima di omicidio, sono intollerabili invece le minacce rivolte a un avvocato per la difesa assicurata a una persona che, pur responsabile di quell’omicidio, ha comunque diritto, come tutti, alla difesa in giudizio (...).

Il futuro dell’avvocatura alla ricerca di un equilibrio. Le transizioni ecologica, tecnologica e culturale richiamate sono inevitabili e non è facile trovare un equilibrio. Esso può essere preservato attraverso il rispetto delle garanzie; il rapporto tra processo e informazione; la coesione che deve esserci tra avvocati e giudici per consolidare l’autorevolezza della giustizia in molteplici aspetti, problemi e novità. Nasce dalla necessità di una comune cultura della giurisdizione in una società in divenire. La professionalità, il rigore etico, le responsabilità di entrambi i protagonisti – giudice e avvocato – sono eguali e comuni; richiedono e legittimano la partecipazione dell’avvocatura al governo autonomo della magistratura a livello centrale e locale ed all’organizzazione degli uffici giudiziari.

L’avvocatura di oggi e di domani non deve lasciarsi coinvolgere in una “guerra” contro la magistratura e in una dimensione corporativa, anziché promuovere un dialogo costruttivo in difesa dei diritti inviolabili del cliente e di tutti.

La responsabilità sociale è parte integrante della professione. Richiede la difesa dei diritti umani e l’impegno verso la collettività, oltre che verso il cliente. Si traduce nel dovere di rispettare i diritti di chi non è coinvolto nel rapporto professionale, ma ne subisce i riflessi. Ciò non vuol dire “funzionalizzare” al perseguimento di fini sociali la professione, che è e resta una, anzi la prima professione liberale. Significa rifiutare qualsiasi pretesa più o meno surrettizia di trasformare la professione in un “servizio” nella logica di impresa.

Occorre seguire l’insegnamento dell’articolo 41 e prima ancora degli articoli 2, 3 e 4 della Costituzione.

Lo hanno efficacemente ricordato sia la Presidente della Cassazione più volte, sia quella del

Consiglio Nazionale Forense all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023: la prima con il forte richiamo ai principi fondamentali del ruolo della difesa nel giusto processo; la seconda con quello delle difficoltà e incertezze nella applicazione della legge forense entrata in vigore nel 2012, anche per l’emergenza sanitaria. Lo ha soprattutto ricordato e continua a ripeterlo il Presidente della Repubblica – e del Consiglio Superiore della Magistratura – con fermezza nell’ammonimento severo alla sinergia e collaborazione tra magistratura e avvocatura per ricostituire la fiducia nella giustizia, a partire dal messaggio per la sua seconda elezione nel febbraio 2022.

È agevole richiamare a questo proposito due episodi significativi. L’amarezza di fronte alla condanna in primo grado di due rappresentanti del Pubblico Ministero da parte di un Tribunale per avere omesso di presentare a quest’ultimo alcuni documenti ritenuti indispensabili per la ricostruzione dei fatti e l’esercizio del diritto di difesa. L’amarezza dei familiari di una giovane donna uccisa di fronte alle motivazioni di meritevolezza dell’ergastolo da parte del rappresentante del pubblico ministero.

Sono episodi diversi fra loro e “marginali”. Ma essi testimoniano la complessità del dibattito sull’inserimento in Costituzione della figura dell’avvocato, oltre a quelle già presenti con riferimento al rispetto del diritto di difesa e del giusto processo; nonché la complessità dei problemi che nascono dalla “separazione delle carriere” tra giudice e pubblico ministero, che di fatto è già operante ed è divenuta un emblema nel contrasto se non nella “guerra” che talvolta si verifica tra i due.

La tutela della dignità umana come limite in negativo, oltre che come obiettivo in positivo della professione, è proposta dal Presidente del Consiglio Nazionale Forense nella sua introduzione odierna. In una prospettiva nuova rispetto a quella tradizionale della deontologia forense, il riferimento alla pari dignità sociale è espressione riassuntiva di tutti i valori costituzionali che si ricollegano alla professione di avvocato e alla avvocatura.

La centralità dei diritti umani nell’ambito delle transizioni culturale, tecnologica ed ecologica e la sempre crescente valorizzazione del ruolo dell’avvocato con riferimento ai problemi e alle difficoltà per l’esercizio della sua professione sono fondamentali in un contesto di post- globalizzazione e di crisi i cui effetti incidono pesantemente sulle persone ( soprattutto sui più deboli).

*Nella versione integrale, la lectio magistralis del presidente emerito della Consulta include anche paragrafi su “Principio fondamentale dello sviluppo sostenibile e avvocatura”, “Nuovo equilibrio dell’Unione Europea”, “Transizioni e interesse delle future generazioni”, “Algocrazia e nuove regole”, “Transizione tecnologica e riserva di umanità”, “Giustizia e tecnologia”, “Digitalizzazione, intelligenza artificiale e avvocatura”.