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L'ex pm Luca Palamara
Non si trattava di corruzione, ma di traffico di influenze illecite. E dunque il telefono di Luca Palamara, ex presidente dell’Anm e perno del “sistema” che pilotava le nomine della magistratura, probabilmente non poteva essere infettato con il trojan che ha svelato le trattative interne alle correnti della magistratura per le nomine dopo la famigerata sera dell’Hotel Champagne. Lo stesso trojan che ha fatto finire sulla graticola decine di magistrati, tutti colpevoli di aver chiesto favori all’ex zar delle nomine e finiti (a volte) davanti alla Commissione disciplinare del Csm per rispondere delle loro chiacchiere con Palamara, terremotando l’intera magistratura e capovolgendo gli equilibri di potere a Palazzo dei Marescialli.
Il colpo di scena è arrivato oggi a Perugia, dove è in corso il filone principale del processo a carico di Palamara, accusato di essersi fatto corrompere dall’imprenditore Fabrizio Centofanti, che aveva già patteggiato. Il procuratore Raffaele Cantone ha infatti riqualificato l'ipotesi di reato, consentendo alle parti di chiedere riti speciali. E gli avvocati dell’ex consigliere del Csm, Roberto Rampioni e Benedetto Buratti, hanno così chiesto il patteggiamento a un anno, con il parere favorevole della procura, decisione che consentirà all’ex zar delle nomine di chiudere i suoi conti con la giustizia. La coimputata di Palamara, Adele Attisani, che avrebbe accompagnato il magistrato nei viaggi pagati da Centofanti, ha chiesto invece il rito abbreviato.
La corte si è riservata di decidere e l'udienza è stata aggiornata al 16 maggio. Ma il destino del processo è già segnato, così come la possibilità che a Perugia si approfondiscano i misteri legati all’uso del trojan inoculato nel telefono di Palamara, sul cui utilizzo sono stati sollevati diversi dubbi. La questione rimane però aperta a Napoli e Firenze, procure alle quali si sono rivolti l’ex deputato e magistrato in aspettativa Cosimo Maria Ferri e l’ex consigliere del Csm Antonio Lepre (punito in sede disciplinare per la sua partecipazione alla riunione all’Hotel Champagne, nella quale si doveva decidere il futuro della procura di Roma) per chiarire il mistero dei server fantasma che a Napoli elaboravano i dati prima di inoltrarli alla procura incaricata di raccoglierli nell’indagine a carico di Palamara.
Non si tratta della prima modifica del capo di imputazione in questo lungo e travagliato caso giudiziario: con quella di oggi, sono sei gli aggiustamenti fatti in corso d’opera, a partire dalla prima ipotesi dei 40mila euro intascati per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore della Repubblica di Gela o per danneggiare il pm Marco Bisogni nell’ambito del procedimento disciplinare che lo vedeva coinvolto, ipotesi scartate dalla procura alla chiusura delle indagini. Successivamente all’ex pm vennero contestati i reati di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e corruzione in atti giudiziari, ipotesi a loro volta “corrette” poco dopo, con il rinvio a giudizio, quando venne contestata la corruzione in concorso per l’esercizio delle funzioni. Insomma, uno sgonfiamento continuo delle accuse, fino all’epilogo di oggi.
«È caduta ogni ipotesi corruttiva, accedo ai riti alternativi senza riconoscere alcuna forma di mia responsabilità ma solo per liberarmi dal fardello dei processi ed essere così più libero di portare avanti la battaglia di verità per una giustizia giusta - ha commentato Palamara -. Come ho sempre dichiarato, non ho mai venduto la mia funzione e mai avrei tradito il giuramento fatto al momento del mio ingresso nella magistratura. Quindi, non c'è mai stata nessuna corruzione al Csm come una parte della (dis)informazione raccontava il 30 maggio del 2019 all'inizio di questa vicenda. Accedendo ai riti alternativi previsti dalla legge Cartabia per una ipotesi di reato diversa e sicuramente meno grave, ho così deciso di liberarmi dal peso dei processi senza l'ammissione di alcuna forma di mia colpevolezza, ma esclusivamente per ragioni personali e processuali. Tutto questo mi consentirà di essere più libero e di dedicarmi con rinnovato vigore alla battaglia di verità su ciò che non ha funzionato all'interno della magistratura e nei rapporti tra politica e magistratura a supporto di quei tanti cittadini onesti che in questi anni mi hanno sostenuto e che fuori dalle ipocrisie vogliono far sentire la loro voce per una vera riforma della giustizia - ha concluso - che da troppo tempo manca nel nostro Paese».
Per Cantone non si tratta, però, di un passo indietro. «La modifica dell'imputazione - ha spiegato -, con la derubricazione del reato in una fattispecie introdotta solo nel 2012 con la legge anticorruzione che, pure meno grave della corruzione, rientra comunque nel novero dei reati contro la pubblica amministrazione, lascia immutato, del resto, il quadro delle acquisizioni investigative compiuti negli anni dall'ufficio e appare altresì coerente con un recentissimo orientamento della Cassazione, espresso nel novembre 2021, nel procedimento contro un sindaco di Roma», ovvero Gianni Alemanno. Decisione, quella, che alzò la soglia probatoria per la contestazione del reato di corruzione. La modifica, ha evidenziato il procuratore, «consegue una serie di contatti intercorsi con la difesa del dottor Palamara che aveva prospettato la possibilità di definire non solo il processo pendente presso il primo collegio, ma anche quello appena avviato che pure vede il dottor Palamara imputato di corruzione. L'ufficio si è determinato nel senso indicato perché in questo modo, in linea con lo spirito della recente riforma Cartabia, possono rapidamente definirsi due procedimenti di particolare complessità che avrebbero significativamente impegnato l'ufficio inquirente e quello giudicante nei prossimi anni».
Il processo avrebbe potuto far emergere nuovi particolari sul mercato delle nomine e sulle zone d’ombra del mondo della magistratura, dato l’alto numero di testimoni previsti, molti dei quali pronti a levarsi sassolini dalle scarpe. Tutti contenti, dunque? «Prima di tutto, adesso, deve venire l’interesse della magistratura, che deve prevalere su tutto», si limita a commentare Palamara.