Pietro Senaldi è una priorità, per l’Anm. Non nel senso che lo si vuole eleggere come primo “papa straniero” della magistratura italiana, no. C’è solo che nell’ordine del giorno, il parlamentino Anm, che si riunirà sabato, ha al punto 5, il seguente argomento: «Intervento del direttore responsabile del quotidiano “Libero”, Pietro Senaldi, alla trasmissione televisiva “In Onda” sulla rete La 7 del 22 agosto 2024 con definizione della Magistratura come “uno dei cancri del Paese”. Valutazioni ed eventuali iniziative».


Adesso, per carità, l’espressione usata dal direttore di “Libero” è forte, ma fa parte del diritto di critica che qualsiasi osservatore dovrebbe poter esercitare nei confronti di chi è da decenni protagonista del dibattito politico, e non solo della giurisdizione. E Senaldi non sarà stato certo l’unico giornalista o commentatore a utilizzare una metafora simile. Perciò, lasciar intendere di volergli infliggere una lezione non è per nulla rassicurante.
Non è chiaro quali potrebbero essere le “iniziative” dell’Anm. In tempi recenti non si ha memoria di azioni mirate compiute dal “sindacato” delle toghe nei confronti di chicchessia.

Sembra d’altra parte che, nel caso specifico, la magistratura associata non escluda di optare per una risposta legale. Sarebbe un segnale pesante. Una personalizzazione del conflitto. Da un eccesso politicista, contestato tante volte, all’associazionismo giudiziario, anche da questo giornale, si passerebbe a una definizione soggettiva e privatistica del conflitto.
Intanto c’è da tenere presente che l’Anm è sì (anche) un sindacato ma rappresenta pur sempre funzionari dello Stato chiamati a esercitare, singolarmente e come “ordine”, un potere. Uno dei tre poteri repubblicani. E un potere che agisse con una propria rappresentanza associativa per difendersi dagli attacchi, dalle critiche dei giornalisti, dei singoli giornalisti, finirebbe per generare altri problemi, che vanno ben oltre l’inopportunità di un’azione legale.

Qui il destinatario della “risposta organizzata” avrebbe potenzialmente di fronte a sé migliaia di pubblici ministeri e giudici penali, oltre ai delegati e ai leader delle correnti in un direttivo sindacale. Ed è chiaro che, messa così, la situazione diventerebbe assai più pesante rispetto a qualsiasi altro contenzioso sul diritto di critica.
Se si scorre il resto dell’ordine del giorno di sabato prossimo ci si accorge che la personalizzazione del conflitto tra la magistratura e gli avversari non si esaurisce nel caso di un singolo direttore di giornale. In agenda c’è anche la “questione” Francesco Gazzoni, il professore di Diritto privato autore di un diffusissimo manuale nella cui introduzione è riapparso un passaggio in realtà già pubblicato – come lo stesso autore ha chiarito in un intervento su “Persona & danno” – ma che solo ora ha suscitato forti polemiche.

È l’ormai “famigerata” digressione in cui Gazzoni evoca una (da lui) asserita psicolabilità di alcuni magistrati e la presunta, specifica instabilità delle giudici donna nelle cause di ambito familiaristico. Anche per Gazzoni si parla di “eventuali iniziative” da assumere. E anche qui: un manuale, come quello del professore napoletano, spesso utilizzato anche da chi prepara il concorso in magistratura, ha un suo impatto. Ma lo studioso ha già pubblicamente argomentato, sulla citata rivista specializzata in diritto di famiglia, che le sue critiche andrebbero considerate nella più ampia cornice di un’opinione condivisa da non pochi osservatori. Si tratta di giudizi certamente discutibili, ma anche qui, si è colpiti da un potere organizzato, tra le altre cose, in un sindacato che sferra una controffensiva nei confronti di uno studioso “blasfemo”. Un’immagine poco rassicurante, esattamente come le eventuali “iniziative” contro Senaldi.
Al di là dei problemi impliciti nei propositi ventilati dall’ordine del giorno del parlamentino Anm (più propriamente detto “comitato direttivo centrale” o anche solo “direttivo”), s’intravede in ogni caso uno slittamento “privatistico”, de-politicizzato, rispetto al conflitto di cui la magistratura è protagonista da vari lustri. Ritenere intollerabile la critica – che si tratti della frase pronunciata in tv dal direttore di un quotidiano o di uno stralcio dell’introduzione di un manuale universitario – vuol dire anche recedere da un protagonismo che, negli anni, è sempre stato politico in senso lato.

E potrebbe essere un segno di debolezza: il sintomo che nell’Anm si è consapevoli della diminuita popolarità che le battaglie della magistratura suscitano nell’opinione pubblica. A cominciare dalla campagna contro la separazione delle carriere. Dietro la replica aggressiva e “mirata” potrebbe intravedersi dunque anche una scelta di retroguardia. Che non stupisce, viste le tempeste da cui l’ordine giudiziario è stato scosso negli ultimi 5 anni. Ma che mai come ora si manifesta come un’imprevista ridefinizione dell’anomalo rapporto fra i poteri creatosi in Italia.