Tra le misure varate ieri dal governo c’è anche un decreto legislativo. E l’oggetto del provvedimento non è banale: dà compiuta attuazione alla norma, approvata in via definitiva dal Senato lo scorso 14 febbraio, che vieta la riproduzione letterale delle ordinanze cautelari. Tecnicamente, scompare il passaggio che, all’articolo 114 del codice di rito, deroga – per le sole ordinanze che dispongono misure cautelari, appunto – al divieto di pubblicazione degli atti d’indagine. Nei fatti, la norma attuativa appena varata dal Consiglio dei ministri – ora sottoposta al parere non vincolante di Camera e Senato – precisa che gli atti con cui il gip infligge (anche) le “manette” non possono essere citati dal giornalista in modo letterale, eccezion fatta per il capo d’imputazione. Resta pacifico che, di quell’atto, si potrà continuare a dar conto per riassunto. Come anticipato da Repubblica, è stato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, di Fratelli d’Italia, a proporre che si potesse continuare a riportare il capo d’imputazione parola per parola.

La legge delega che introduce il nuovo limite, precisato dal decreto legislativo di ieri, è la numero 15 del 2024. Nell’esame parlamentare avvenuto tra fine 2023 (alla Camera) e inizio 2024 (a Palazzo Madama) era stato il deputato e responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa a presentare l’emendamento con la norma sulle ordinanze cautelari, subito condivisa, e approvata, dalla maggioranza.

Già alla fine dello scorso anno si era aperto un ampio dibattito, riacceso dalla novità di queste ore, che vede le rappresentanze dei giornalisti nettamente schierate contro la modifica.

La logica del divieto di riportare “alla lettera” le ordinanze cautelari (fino alla conclusione delle indagini o fino al termine dell’udienza preliminare) è descritta così da Costa e dal governo: un testo virgolettato, originale, di un gip che, con le proprie argomentazioni, motivi una carcerazione preventiva deve necessariamente avere una forza, un’incisività anche “suggestive”. Non foss’altro perché quell’ordinanza dovrà reggere a eventuali impugnazioni, cioè al successivo vaglio del Riesame e della Cassazione. Si tratta, di fatto, di una ricostruzione delle accuse sostenute dalla Procura e ritenute, dal giudice per le indagini preliminari, sufficienti a giustificare non una condanna, ma le manette. Il giudice è terzo, ma si pronuncia, in un caso simile, senza la pretesa di accertare la colpevolezza dell’indagato, eppure con un linguaggio, un’assertività che, rispetto alla gravità degli indizi (la prova, quella, si forma nel dibattimento…), devono essere convincenti, pur nel rispetto delle norme sulla presunzione d’innocenza già introdotte nel 2021.

Ed è qui che autori e sostenitori del provvedimento, da Costa ai vertici di via Arenula, si chiedono: è giusto che al lettore venga proposta integralmente o, seppur per estratto, parola per parola una ricostruzione ancora non passata al vaglio processuale, ma comunque già capace di suscitare, nell’opinione pubblica, la convinzione della colpevolezza?
È davvero giusto, anche tenuto conto che, in casi di particolare rilevanza, tale suggestione può arrivare a radicarsi a tal punto nella coscienza collettiva da condizionare, in seguito, persino il giudice del processo, messo sotto pressione dall’attesa di una sentenza coerente con le parole usate, magari anni prima, dal gip nell’ordinanza?

Costa e l’Esecutivo sono convinti di no, che la presunzione d’innocenza sia compromessa anche dalle suggestioni inevitabilmente prodotte, a livello diffuso, mediatico, nella fase preliminare del procedimento. Quando cioè non è ancora neppure iniziato un processo vero e proprio.

Ciò non toglie che il “divieto di pubblicazione testuale” lasci comunque al giornalista la possibilità di riferire i contenuti dell’ordinanza cautelare in modo riassuntivo, e di illustrare al lettore il senso dell’indagine, delle accuse per le quali il gip ha riconosciuto come gravi gli indizi raccolti dal pm.

È un bavaglio? O è una cautela formale, un limite al linguaggio della cronaca giudiziaria concepito per salvaguardare la dignità, e il diritto di difesa, di chi potrebbe essere innocente? E se è vera la seconda delle due affermazioni, noi giornalisti siamo così convinti che la dignità e il diritto di difesa di un innocente debbano essere sacrificati a una concezione assolutizzante del diritto di informazione? O in uno Stato civile è giusto sforzarsi di tenere in equilibrio i due principi, e magari avere particolare riguardo per la dignità, cioè per la vita, del singolo innocente? In una democrazia, non esiste una risposta sola.
E soprattutto, in una democrazia, andrebbe tollerato che ciascuno abbia la propria, di risposta, e la confronti con gli altri.