I genitori di Cecilia Sala hanno chiesto ieri con una lettera il silenzio stampa: «La situazione di nostra figlia, chiusa in una prigione di Teheran da 16 giorni, è complicata e molto preoccupante. Per provare a riportarla a casa il nostro governo si è mobilitato al massimo e ora sono necessari oltre agli sforzi delle autorità italiane anche riservatezza e discrezione. In questi giorni abbiamo sentito l’affetto, l’attenzione e la solidarietà delle italiane e degli italiani e del mondo dell’informazione e siamo molto grati per tutto quello che si sta facendo. La fase a cui siamo arrivati è, però, molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione. Per questo abbiamo deciso di astenerci da commenti e dichiarazioni e ci appelliamo agli organi di informazione chiedendo il silenzio stampa. Saremo grati per il senso di responsabilità che ognuno vorrà mostrare accogliendo questa nostra richiesta».

In tutta evidenza la richiesta, alla quale il Dubbio ha deciso di aderire, non può significare fingere che non stia succedendo niente ma solo astenersi da commenti, indicazioni e diffusione di notizie sensibili, ove se ne fosse in possesso, o che possano danneggiare Cecilia Sala. Non può significare invece esercitare un’autocensura anche sulle notizie di pubblico dominio, che continueremo invece a fornire. In Iran, su 60 testate, una sola ha dato la notizia dell’arresto della giornalista italiana. Ma l’Italia non è e non può per alcun motivo essere l’Iran.

Ieri l’ambasciatrice italiana in Iran Paola Amadei è stata “ricevuta” al ministero degli Esteri iraniano e ha rinnovato la richiesta di rilascio immediato della detenuta, accusata non si sa ancora di cosa, e comunque di garantire da subito condizioni di detenzione civili. L’Iran è però tornato sul caso di Mohammad Abedini, il cittadino svizzero-iraniano arrestato a Malpensa e ricercato dagli Usa per traffico d’armi chiedendo che l’Italia «respinga la politica statunitense di presa di ostaggi iraniani» e rilasci il suo connazionale il prima possibile. Durante l’incontro, fa sapere Teheran, il direttore generale per l’Europa occidentale del ministero degli Esteri, Majid Nili Ahmadabadi, ha poi invitato l’Italia a «fornire le condizioni necessarie per il rilascio di Abedini il prima possibile». La chiave per la liberazione di Cecilia Sala è questa.

Per quanto riguarda il quadro interno, la premier ha deciso di rispondere picche alla richiesta del Pd che, prima con la segretaria Schlein e il responsabile Esteri Provenzano, poi con i capigruppo Boccia e Braga, aveva offerto la propria disponibilità a collaborare con il governo, chiedendo di essere coinvolto nelle decisioni. Renzi, il primo a farsi sentire, aveva chiesto un vertice fra la premier e tutti i leader di partito italiani. La strada scelta da Palazzo Chigi è molto più modesta e convenzionale. Il sottosegretario Mantovano riferirà al Copasir il 6 gennaio e “per suo tramite” al Parlamento. In parte è comprensibile che in una fase che la stessa famiglia definisce estremamente delicata il governo voglia evitare il clamore di comunicazioni in aula con tanto di dibattito e mozioni. Ma di fronte a un'emergenza come questa qualcosa in più della classica relazione al Copasir si sarebbe potuto e forse dovuto fare.

Sulla vicenda è intervenuta anche l’avvocatura italiana con un comunicato a firma del Cnf: «Il Consiglio nazionale forense esprime la più ferma condanna per l’arresto in Iran della giornalista Cecilia Sala, titolare di un regolare visto d’ingresso per svolgere il proprio lavoro, e manifesta profonda preoccupazione per le condizioni della sua detenzione, chiedendone l’immediata liberazione, e nell’attesa, che le vengano garantiti il diritto di difesa e condizioni di detenzione rispettose della dignità umana. A due settimane dall’arresto, non sono ancora state rese note le accuse nei suoi confronti, a eccezione di una generica imputazione di “aver violato la legge”. Secondo le notizie di stampa, la giornalista è stata privata degli occhiali da vista ed è costretta a dormire sul freddo pavimento della cella, con sole due coperte e le luci perennemente accese. Il Consiglio nazionale forense, a nome di tutti gli avvocati italiani, esprime piena solidarietà a Cecilia Sala, alla sua famiglia e ai suoi colleghi, e sollecita la comunità internazionale, il governo italiano e le istituzioni dell’Unione europea a proseguire con determinazione ogni iniziativa diplomatica volta a ottenere l’immediata liberazione della giornalista italiana e a porre fine alla pratica, inaccettabile e illegale, della detenzione arbitraria di cittadini dell’Ue. Tale richiesta si basa sul rispetto dei principi sanciti nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, di cui l’Iran è parte, in particolare per quanto riguarda il divieto di arresto arbitrario previsto dall’articolo 9 e il divieto di trattamenti inumani o degradanti stabilito dall’articolo 10. Infine, il Cnf condanna fermamente, ancora una volta, le discriminazioni e le violenze sistematiche perpetrate in Iran contro donne, minoranze e chiunque manifesti pacificamente il proprio dissenso. Ribadisce, inoltre, la necessità del rispetto dei diritti fondamentali e chiede l’immediata liberazione degli avvocati arrestati e condannati per il legittimo esercizio della loro professione».