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L’imputazione a carico di Matteo Renzi nel procedimento Open «è stata rasa al suolo dalle sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione». A dirlo, nel corso dell’udienza preliminare di ieri, gli avvocati Giandomenico Caiazza e Federico Bagattini, difensori del leader di Italia viva, che hanno chiesto il «non luogo a procedere» nell’inchiesta sulle presunte irregolarità nei finanziamenti a Open, la fondazione nata per sostenere le iniziative politiche dell’ex premier all’epoca in cui era segretario del Pd. «L’imputazione per Matteo Renzi - ha affermato Caiazza a margine dell’udienza - è stata letteralmente rasa al suolo da tre sentenze della Corte di Cassazione che hanno dichiarato totalmente illegittimo il ragionamento in diritto sulla fondazione formulato dalla procura».
Il legale cita anche la sentenza della Corte costituzionale, in base alla quale sono inutilizzabili alcune chat riferite a Renzi e sequestrate nei cellulari degli imprenditori Marco Carrai e Ugo Vincenzo Manes senza autorizzazione del Senato. La Consulta, ha spiegato Caiazza, «ha demolito l’impianto accusatorio, dichiarando inutilizzabili alcuni atti di indagine e costringendo i pm Luca Turco e Antonino Nastasi a muoversi tra le macerie». In tutto sono 11 tra cui Maria Elena Boschi, Luca Lotti, l’imprenditore Marco Carrai e l’ex presidente di Open, l’avvocato Alberto Bianchi. A vario titolo sono formulate le accuse di finanziamento illecito ai partiti, traffico di influenze, corruzione, emissione di fatture per operazioni inesistenti e autoriciclaggio.
Durante l’udienza preliminare, Bianchi ha fornito dichiarazioni spontanee per oltre due ore, dettagliando l’attività della Fondazione e difendendo la correttezza delle operazioni. Secondo la sua ricostruzione, tutte le prestazioni professionali fornite dalle società finanziatrici della Fondazione erano legittime e non avevano alcun legame con attività illecite. La decisione del gup, Sara Farini, è attesa nella prossima udienza del 19 dicembre.
Nel corso della scorsa udienza i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio degli imputati. A tutti loro è contestato il reato di finanziamento illecito ai partiti, dal momento che la procura ritiene la Fondazione Open un’articolazione di partito riconducibile e funzionale all’ascesa politica di Renzi. Due gli episodi di corruzione per l’esercizio della funzione che vengono contestati entrambi a Lotti, ex membro del cda della Fondazione e membro del governo tra il 2014 e il 2017, prima come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e poi come ministro dello Sport, periodo in cui, secondo le accuse della procura, si sarebbe adoperato per promuovere l’approvazione di disposizioni normative favorevoli a due società che avevano finanziato Open, la Toto Costruzioni Generali e la British American Tobacco Italia. Lo stesso reato di corruzione attribuito a Lotti è contestato anche a Bianchi e Donnini, considerato collaboratore diretto della Fondazione (è ritenuto responsabile anche di autoriciclaggio in aziende operanti nel settore del turismo e in acquisti immobiliari).
A Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi, in quanto componenti del consiglio direttivo di Open, e a Renzi (che i pm qualificano come «direttore» della Fondazione) è contestato il reato di finanziamento illecito continuato «perché in concorso tra loro» avrebbero utilizzato la Fondazione come «articolazione politico- organizzativa del Partito democratico (corrente renziana)», ricevendo «in violazione della normativa» sul finanziamento pubblico ai partiti contributi in denaro per un totale quantificato dalla procura in 3.567.562 euro provenienti dalle donazioni private dei finanziatori: 257mila per il 2014, 332.500 per il 2015, 1.420.988 per il 2016, 805.010 per il 2017 e 752.064 per il 2018. Talune delle somme versate alla Fondazione sarebbero state utilizzate, inoltre, sempre secondo l’accusa, per fornire a Renzi, Lotti e Boschi «beni e servizi» di cui avrebbero fruito personalmente.