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L’ inchiesta Open continua a perdere pezzi. Con un colpo secco inferto, questa volta, dalla Cassazione. L’ultimo capitolo è dato dalle motivazioni con le quali la Suprema Corte, a settembre scorso, ha bollato come «illegittimo», annullando, il sequestro del computer e delle mail di Davide Serra, imprenditore e manager del fondo Algebris. Un sequestro effettuato non con il fine di confermare un’ipotesi di reato ragionevolmente formulata, bensì con «fini esplorativi e volto ad acquisire la notizia di reato in ordine ad un illecito non individuato nella sua specificità fattuale». Il fine della Procura di Firenze, secondo i giudici, non era quello di verificare una tesi accusatoria già ben formulata e ancorata a dati di fatto, bensì poterne trovare una. Insomma, una vera e propria caccia al reato.
L’indagine è quella sulla Fondazione Open, la “cassaforte” della Leopolda che secondo i magistrati avrebbe agito come una “articolazione” di partito. Nata per sostenere le iniziative politiche dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, secondo i pm avrebbe rimborsato spese a parlamentari, messo a loro disposizione carte di credito e bancomat. Nel novembre 2019 i pm fiorentini hanno aperto un fascicolo, ipotizzando il traffico illecito di influenze e il finanziamento illecito ai partiti. Tra gli indagati ci sono Marco Carrai, ex consigliere d’amministrazione della fondazione Open, e Alberto Bianchi già presidente dell’ente. Davide Serra, però, non risulta tra gli indagati, ma solo tra coloro che hanno effettuato «erogazioni liberali sia in favore di Fondazione Open sia della società di diritto lussemburghese Wadi Venture, riconducibile al Carrai». Da qui la prima domanda: perché sequestrare i pc e mail a chi non risulta nemmeno indagato?
Una domanda che per la Cassazione non trova risposta. «Le attività investigative di ricerca della prova», nel caso in questione, erano dunque finalizzate «ad acquisire la vera e propria notizia di reato, dovendosi invero reputare inconsistente sul piano del fumus commissi delicti il mero riscontro di investimenti fatti in favore di una societa` lussemburghese, il cui oggetto e` quello dell'acquisizione di partecipazioni». Il sequestro probatorio presuppone, infatti, «l'individuazione di un fatto costituente reato, individuato nei suoi tratti essenziali di tempo, luogo e azione e in relazione». E per evitare che tale atto sia da considerarsi nullo è dunque necessario indicare quale sia la relazione tra i beni sottoposti a sequestro e l'ipotesi di reato. Ma nell’indagine fiorentina non c’è nulla di tutto ciò. Anzi, «le scarne informazioni fornite» dalla Procura «non consentono in alcun modo di prospettare il tipo di condotta cui sono correlate le attività investigative». E non risulterebbero definiti in alcun modo «i contorni essenziali della vicenda, che dovrebbe ricondursi ad un traffico di influenze, in assenza del riferimento al tipo di mediazione richiesta o all'individuazione della controprestazione da remunerare e soprattutto in relazione alla determinabilità dei pubblici ufficiali, temi cui sarebbero poi da ricondurre le attività investigative di ricerca della prova». lnsomma, è l’intero atto, sin dalla sua genesi, ad essere viziato.
E a tali vizi nemmeno il Riesame, che pure aveva confermato la validità del sequestro, ha posto rimedio, limitandosi a ribadire i contenuti del provvedimento. Tale vizio riguarda anche l’ipotesi del finanziamento illecito, dal momento che «è sostanzialmente mancata l'individuazione del nesso di pertinenzialita` tra l'ipotesi di reato e i beni sottoposti a sequestro», in primo luogo proprio perché Serra «è soggetto terzo, rispetto ai reati ipotizzati, non essendo di per se ´ illecito il finanziamento accertato, effettuato individualmente». E non è chiaro a cosa servissero, in tal senso, il suo computer e le sue mail, che, come evidenziato dai legali di Serra nel ricorso, contenevano dati «altamente sensibili, in quanto tali da risolversi in informazioni strategiche e privilegiate, con conseguente rischio di diffusione e di compromissione della capacita` di azione della società, derivante dal sequestro, non accompagnato dall'illustrazione delle ragioni investigative a supporto».
L’unico elemento è la relazione con Carrai e l'investimento in favore della società lussemburghese, «di cui tuttavia non sono stati prospettati profili di illiceità apprezzabili, se non in funzione di solo ipotizzate ma non suffragate, neppure a livello di fumus, condotte di traffico di influenza».