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Dopo aver archiviato il falso complotto contro Arianna Meloni, dopo aver quasi posto in soffitta l’affaire Toti a seguito della richiesta di patteggiamento, ecco riaccendersi a poca distanza un nuovo scontro tra politica e magistratura.
Terreno di scontro la richiesta da parte della procura di Palermo di sei anni di reclusione per il ministro Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio per avere impedito, cinque anni fa, lo sbarco dalla Open Arms di 147 migranti a Lampedusa. Se ieri si era espressa immediatamente la premier Giorgia Meloni e anche il Ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha partecipato «piena ed affettuosa solidarietà al collega Salvini», oggi la polemica non si ferma.
Walter Verini, segretario Pd della commissione Giustizia al Senato, replica direttamente da X al Guardasigilli: «Nordio, ministro della Giustizia, non difende l'indipendenza della magistratura e solidarizza con Salvini, imputato per gravi reati. Colpevole o innocente, decideranno i giudici. Ma il reato di disumanità lo ha commesso. Ministro Nordio, il suo non è garantismo. È complicità».
Diversa la posizione del presidente del Senato Ignazio La Russa il quale ha infatti dichiarato: «Ho fiducia piena nella giustizia, ma penso che spesso la pubblica accusa, in processi come questo, fa prevalere la tesi che vuole affidare al pm il compito di interpretazione estensiva delle norme. La giustizia secondo loro dovrebbe interpretare le norme e correggere. Ma non tocca alla magistratura correggere le norme, anche quando fossero sbagliate: può solo applicare la legge».
Non si è lasciata attendere la reazione della giunta sezionale di Palermo dell’Associazione nazionale magistrati, presieduta da Giuseppe Tango. Le toghe del capoluogo siciliano esprimono «solidarietà a tutti i colleghi impegnati nella trattazione del processo a carico del sen. Salvini ed in particolare della Procura della Repubblica di Palermo che hanno rassegnato, con compostezza e diffuse argomentazioni giuridiche, rispettose dei principi dettati dalla normativa sovranazionale e nazionale in materia di salvataggio in mare, le conclusioni di un processo delicato sotto molteplici punti di vista».
I magistrati sottolineano che «sono state rivolte nei confronti di rappresentanti dello Stato nella Pubblica Accusa insinuazioni di uso politico della giustizia e reazioni scomposte, anche da parte di esponenti politici e di Governo. Sono dichiarazioni gravi, non consone alle funzioni esercitate, in aperta violazione del principio di separazione dei poteri, indifferenti alle regole che disciplinano il processo, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche e che costituiscono indebite forme di pressione sui magistrati giudicanti. Sarà il Tribunale a vagliare la fondatezza dell’accusa, con indipendenza e terzietà, guidato solo dallo scrupoloso rispetto di tutte le norme vigenti in materia».