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Alberto Lo Bianco/Lapresse
Giulia Bongiorno agita i fascicoli come sabbia in una clessidra. Ed è lei stessa a servirsi della metafora quando ormai i fogli si sono esauriti come granelli: il giorno della difesa nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo è quasi finito. Ma manca ancora l’ultimo atto, quello che l’avvocata e senatrice leghista riserva alle conclusioni della sua arringa. In tutto oltre tre ore, tutte d’un fiato, fatta eccezione per una piccola sosta. Di fianco, in silenzio, Matteo Salvini. Il cliente eccellente che concede soltanto un paio di sorrisi prima di calarsi nel ruolo dell’imputato allo scattare della campanella. Tutti in piedi, si inizia.
Il leader della Lega, Capitano, oggi vicepremier e ministro delle infrastrutture, è sotto processo per rifiuto d’atti d’ufficio e sequestro di persona per aver impedito lo sbarco di 147 migranti a bordo della Ong spagnola Open Arms nell’agosto 2019. I fatti sono noti, e ampiamente riportati nella requisitoria dei pm, che chiedono per l’allora titolare del Viminale una pena a sei anni di carcere.
Ciascuno ricorda il clima, cinque anni dopo. Ma il punto, nell’aula, è stabilire chi e in che modo sia responsabile di quei 19 giorni con gli occhi puntati sul mare, mentre un’isola di umanità “galleggiava” in attesa. «Per inquadrare i fatti dobbiamo uscire dalla logica che tutto è un diritto. Una cosa è un diritto, altra è una pretesa. Esiste un diritto allo sbarco, ma non a decidere come, quando e chi sbarcare», attacca subito Bongiorno. Che organizza la sua tesi in tre punti: salvataggio; linea politica; diario di bordo. Il tutto sostenuto da «ampia documentazione»: a partire da un video che è agli atti, scandisce Bongiorno, risalente al 20 agosto.
A bordo della nave c’è una «esplosione di gioia e c’è qualcuno che commenta». La voce è di Oscar Camps, fondatore di Open Arms, presente oggi in aula. Bongiorno rilegge le sue parole tradotte dallo spagnolo. «Sono felice non perché sbarcano i migranti, ma perché è caduto il ministro Salvini». Il filmato diventa subito un piccolo giallo, nessuno sembra saperne nulla. Per qualcuno è del tutto irrilevante. Mentre per la difesa del ministro si tratta della dimostrazione chiara e lampante che la Ong avesse deciso di sfidare Salvini con una manovra politica mirata a smantellare i decreti Sicurezza.
Un “piano” che evidentemente agli occhi della Lega spiegherebbe anche il motivo del continuo «bighellonare» della Ong. Parola chiave, questa, che ricorre più volte nell’arringa per dimostrare la presunta condotta di Open Arms: sia all’inizio di questa vicenda, quando la nave umanitaria si sarebbe trattenuta in mare con lo scopo – sostiene Bongiorno – di aspettare il barcone al quale prestare soccorso. Sia alla fine, quando la Ong avrebbe ripetutamente rifiutato le offerte dell’Italia e della Spagna per far scendere i migranti dalla nave. Anche quando «l’Italia si è inginocchiata».
Ecco due i due punti fermi: la «presunta avaria» non era tale, perché la condizione di “distress”, ovvero il pericolo grave e imminente in cui si trovava l’imbarcazione con a bordo i migranti, per la difesa non è dimostrato. Al contrario, smentito: «Un conto è soccorrere – ripete Bongiorno - un altro avere un appuntamento per concordare una consegna». Poi c’è il secondo nodo: una volta arrivati a Lampedusa, dal 15 agosto, secondo la tesi di Bongiorno i migranti sarebbero potuti scendere dalla nave in qualunque momento attraverso il “varco aperto” dalla Guardia costiera. Bastava dimostrare – dice la difesa – di trovarsi in condizioni di disagio.
«Quello che noi di Open Arms abbiamo sempre ribadito, e che è stato oggetto della requisitoria dei pm nelle scorse udienze, è che a bordo dell’imbarcazione c’erano persone costrette in condizioni disumane. Persone vulnerabili, trattenute per 19 giorni nonostante la precarietà della loro situazione fisica e psicologica, oltre al fatto che già provenivano da un paese come la Libia dove avevano subito violenze e abusi», replica il fondatore della Ong a margine dell’udienza. Per le parti civili non ci sono dubbi: con il divieto imposto da Salvini sono state violate le leggi del mare. Per la difesa «il Pos (place of safety) è stato dato due ore dopo l’ingresso della ong Open Arms in acque territoriali italiane»: e per luogo sicuro non bisogna intendere soltanto la terra – si argomenta - ma anche il mare.
Ormai le ragioni della difesa sono chiare. Il clima in aula resta sereno. Niente più di qualche blanda smorfia di dissenso a siglare ogni picco retorico dell’arringa. Mentre la politica dall’altra parte della città si organizza in un presidio a sostegno del Capitano. La Lega è in piazza Politeama per sostenere il suo leader, con tanto di magliette nere in stile “wanted”. Ci sono anche i ministri Giancarlo Giorgetti, Giuseppe Valditara e Roberto Calderoli. Più giornalisti che militanti, prima che gli stessi inviati si precipitassero di nuovo al Pagliarelli per domandare: questo è un processo politico?
La posta in gioco è tutta qui. E la stessa Bongiorno ne fa accenno in aula per dire che politico era il clima in cui questo processo è maturato. Per i fatti che travolsero l’allora Conte I fino al Conte II. «Nell’agosto del 2019 il ministro Salvini stava combattendo una battaglia, certamente non contro i migranti, i quali sono stati assistiti e tutelati. La battaglia era contro chi confonde le pretese con i diritti. Non esiste il diritto a bighellonare. I confini, e lo dico convintamente, lungi dall’essere strumenti di discriminazione sono lo scudo della pace. Se chiunque potesse entrare in Italia senza regole e senza controlli, nel nostro Paese regnerebbero il caos e la violenze».
Sipario. Bongiorno chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Se ne riparla il 20 dicembre per le eventuali repliche della procura e delle parti civili prima della sentenza. «Il venerdì prima di Natale – chiosa l’imputato – scoprirò se per i giudici di Palermo sono colpevole di sequestro di persona perché ho bloccato gli sbarchi clandestini o se sono semplicemente una persona che ha fatto il suo lavoro e difeso il suo paese».