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LaPresse
La Corte d'Appello di Roma ha condannato Marco Bianchi all'ergastolo nel processo bis per la morte di Willy Monteiro Duarte, brutalmente ucciso il 6 settembre 2020, a Colleferro. Per il fratello maggiore Gabriele Bianchi, invece, i giudici hanno emesso una condanna a 28 anni di carcere perché gli sono state concesse le attenuanti generiche.
“Noi non siamo dei mostri, chiediamo scusa alla famiglia di Willy per il dolore che prova e per quello che è avvenuto”, avevano detto i due prima che i giudici entrassero in camera di consiglio. Marco Bianchi aveva però ammesso di aver tirato un calcio alla vittima. La procura generale di Roma aveva chiesto la pena dell'ergastolo per i due fratelli nell'udienza che si è svolta lo scorso 17 gennaio. Richiesta ribadita dall’accusa nel corso delle repliche, mentre gli avvocati difensori e chiesto hanno chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche per i loro assistiti.
La madre di Willy: “Ci è rimasta soltanto una foto”
“Le condanne dei ragazzi non ci ridanno Willy. Spero solo che questi ragazzi apprezzino il fatto che sono vivi e i loro familiari possono vederli e sentire la loro voce. Invece a noi di Willy è rimasta solo una fotografia da guardare. E la sua voce è solo un ricordo lontano”, ha commentato Lucia Monteiro Duarte dopo la sentenza. “Mi auguro che i fratelli Bianchi imparino a rispettare gli altri e a fare in modo che un'altra famiglia non viva quello che abbiamo vissuto noi”, ha aggiunto.
L’accusa e il nuovo processo
Al nuovo processo di Appello si è arrivati dopo che la Cassazione ha riconosciuto per tutti la responsabilità penale per omicidio volontario e ha disposto il nuovo giudizio limitatamente alle attenuanti generiche, che erano state riconosciute ai fratelli Bianchi nel primo processo di Appello, facendo scendere la condanna per i due dall'ergastolo a 24 anni. Sono già definitive invece le condanne per gli altri due imputati, 23 anni per Francesco Belleggia e 21 anni per Mario Pincarelli.
“La morte di Willy è un evento indecente sia nelle modalità in cui è avvenuta sia per i motivi'”, aveva detto il pg nella sua requisitoria. Un pestaggio '”brutale durato cinquanta secondi'” nel quale i due fratelli Bianchi hanno avuto “un ruolo preponderante con Gabriele, esperto di Mma, che dà il via con un violento calcio al petto di Monteiro seguito subito da Marco Bianchi”. I due fratelli, secondo il rappresentante dell'accusa, non hanno avuto alcun tipo di “revisione critica” in merito a quanto hanno compiuto.
Le dichiarazioni spontanee in aula
“Volevo replicare quanto detto in questi anni - ha sostenuto Gabriele Bianchi presente in aula per l'ultima udienza del processo - sono stufo: da quattro anni e più vengo definito come una persona che non sono. Non vivevo di delitti, avevo una frutteria, mi svegliavo alle tre del mattino per lavorare. Io e mio fratello abbiamo commessi degli errori e siamo pronti a pagare. In carcere sono la persona che sono sempre stata, mi sto laureando, svolgo il mio lavoro con serietà e impegno e non ho mai litigato con nessuno. Ripeto quello che ho dichiarato nel processo per quattro anni: voglio pagare per le colpe che ho, ma non ho mai colpito Willy, non l'ho toccato. Non posso confessare una cosa che non ho fatto, sono pronto a morire in carcere ma non dirò mai che l'ho colpito. Sono addolorato per la morte di Willy - ha detto Gabriele rivolgendosi alla madre della vittima - ho chiesto un incontro con i familiari per poterli guardare negli occhi. E se potessi cambierei le sorti di quella sera. Prego tutte le notti che mi venga data la speranza di poter abbracciare mio figlio fuori dal carcere”.
In videocollegamento dal carcere ha preso la parola anche Marco Bianchi dicendosi dispiaciuto per quello che è accaduto “per il dolore che ho dato alla famiglia di Willy. Sono responsabile per il calcio al fianco ma non quando era a terra, mi dispiace per mio fratello che è stato coinvolto in questa situazione ma non ha mai colpito Willy. Pagherò per la mia responsabilità, ma non siamo mostri. Non meritiamo tutto questo odio mediatico, spero in una pena giusta”.