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Filippo Turetta in aula
La Corte d’Assise di Venezia ha dato il via libera alla requisitoria del pm Andrea Petroni, che ha ricostruito i drammatici dettagli dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Filippo Turetta, imputato per omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere, rischia l’ergastolo. Il pm, che al termine del suo intervento ha invocato l'ergastolo per Filippo Turetta, ha descritto il delitto come l’ultimo atto del controllo ossessivo esercitato dall’imputato sulla vittima.
Secondo Petroni, Turetta non aveva mai realmente intenzione di togliersi la vita, ma usava la minaccia del suicidio come strumento manipolativo per tenere legata Giulia. «La prospettazione del suicidio era esclusivamente ricattatoria», ha affermato il pm, aggiungendo che persino la fuga dell’imputato in Germania, dove è stato arrestato, rappresentava un tentativo di sottrarsi alla giustizia piuttosto che un gesto disperato.
Una relazione segnata dal controllo ossessivo
Il rapporto tra Turetta e Cecchettin, come emerge dalle prove e dai messaggi analizzati, era caratterizzato da un forte controllo. Il pm ha letto in aula alcune frasi inviate da Turetta a Giulia: "Ti farò pentire di tutto il male che mi stai facendo" e "Se la mia vita finisce, la tua non vale niente". Questi messaggi, inviati con insistenza quotidiana, rivelano un comportamento ossessivo.
Turetta pretendeva che Giulia rallentasse negli studi e limitasse le uscite con le amiche. In uno dei messaggi, reagiva al semplice annuncio di una cena fuori con le parole: "Non lo fare, è tantissimo, è il limite". Questo atteggiamento ha contribuito a generare nella vittima un senso di ansia e oppressione.
Il tragico epilogo e la fuga all’estero
L’11 novembre 2023, Giulia Cecchettin ha perso la vita in un parcheggio a Fossò, in provincia di Venezia. Dopo il delitto, Turetta si è dato alla fuga, guidando per l’Italia e poi attraversando il confine. La mattina seguente si trovava già in Austria. Successivamente, in Germania, la polizia ha rintracciato l’imputato in panne sulla corsia d’emergenza. Agli agenti tedeschi ha confessato: «Ho ucciso la mia ragazza».
Nonostante il tentativo di cancellare ogni traccia, inclusi i dati sul cellulare, gli inquirenti hanno trovato elementi utili per ricostruire la dinamica dell’omicidio. Sull’auto, i RIS hanno rilevato segni di pulizia, che confermano la volontà dell’imputato di nascondere prove.
La requisitoria del pm: manipolazione e ossessione
Durante la requisitoria, il pm Petroni ha voluto separare il caso specifico dalla riflessione generale sulla violenza di genere. «Non ci saranno riflessioni sul femminicidio come tematica o sulla Giornata di oggi. Qui si accertano responsabilità individuali», ha dichiarato.
Petroni ha sottolineato che la manipolazione di Turetta non si limitava alla vittima, ma si estendeva anche alla magistratura, con dichiarazioni finalizzate a ridurre la gravità delle sue azioni. «La fuga non era un atto di disperazione, ma un modo per guadagnare tempo e sfuggire alla giustizia», ha spiegato.
Un rapporto tossico documentato
Le prove raccolte includono messaggi, chat e un diario della stessa Giulia, in cui annotava i comportamenti di Turetta. La ragazza descriveva il fidanzato come ossessivo, controllante e incline a minacce. «Dice cattiverie pesanti, minacce quando litighiamo e mi controlla», scriveva Giulia per ricordarsi i motivi per cui aveva deciso di allontanarsi da lui.
Dall’altro lato, Turetta compilava un diario in cui documentava i problemi della relazione, cercando di giustificare le sue azioni. Tuttavia, il comportamento del giovane risulta inequivocabile agli occhi del pm: «L’omicidio rappresenta l’ultimo atto di un controllo esercitato con ossessione».
Chi è presente in aula
In aula, accanto all’imputato, erano presenti i suoi difensori. La famiglia Cecchettin, invece, era rappresentata dallo zio e dalla nonna, mentre il padre di Giulia, Gino Cecchettin, non ha potuto partecipare per impegni legati alla fondazione dedicata alla memoria della figlia.