«Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me, provavo risentimento, rabbia, non lo so…». Sono le parole pronunciate da Filippo Turetta nell’aula della Corte d’Assise di Venezia, dove è imputato per l’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre dello scorso anno. «Voglio raccontare tutto», ha esordito lo studente ventiduenne che, dopo la lunga e dettagliata confessione resa subito dopo l'arresto, per la prima volta ha mostrato il suo volto ai giornalisti ma, soprattutto, si è trovato a poca distanza da Gino Cecchettin, padre della vittima. L’uomo, che in due anni ha perso moglie e figlia, aveva lo sguardo spesso puntato su chi sedeva al banco degli imputati, a differenza di Turetta che ha evitato il pubblico.

Assente la sorella della vittima, Elena: «Non sarò presente in aula, non per disinteresse, ma per prendermi cura di me stessa. Sono più di undici mesi che continuo ad avere incubi, 11 mesi che il mio sonno è inesistente o irrequieto. La mia salute mentale e soprattutto quella fisica ne hanno risentito. Ho perso il conto delle visite mediche che ho dovuto fare nell’ultimo anno».

Risposte incerte, sguardo basso, lacrime: il giovane, nel ricostruire quanto accaduto quella tragica notte, ha parlato con frasi brevi, ha incespicato, balbettato quasi, è sembrato molto confuso. «Sono qui per dovere verso la giustizia ma soprattutto verso Giulia e verso tutte le persone colpite», ha detto rispondendo al suo legale, Giovanni Caruso, in merito alla ragione per cui ha deciso di sottoporsi all'interrogatorio davanti alla Corte d'Assise.

Invece alla domanda del pm di Venezia Andrea Petroni che gli ha chiesto se, compilando la lista del 7 novembre (con gli strumenti per legarla e i coltelli, ndr), avesse già in mente il delitto, lo studente ha risposto che aveva pensato già giorni prima di togliere la vita a Giulia: «Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata così sarebbe stato possibile stare più tempo insieme e sarebbe stato più difficile trovarci, dopo inevitabilmente saremmo stati trovati. Poi aggredirla e togliere la vita a lei e poi a me…alla fine è per questo che ho cercato quei luoghi». «Ho provato a mettermi in testa un sacchetto dopo aver occultato il corpo di Giulia, ma non ce l'ho fatta», ha raccontato ancora il giovane.

L’11 novembre del 2023, di fronte al rifiuto di dargli un’altra possibilità, si era rivolto all’ex fidanzata «in un tono alterato e lei giustamente ha reagito malissimo». «In quel momento ho sentito di aver perso per sempre la possibilità di tornare insieme. Non avere più un rapporto, ho percepito questo: di perdere la possibilità di un rapporto», ha affermato. Filippo Turetta ha ammesso poi in aula di aver detto «una serie di bugie» nel primo interrogatorio con il pubblico ministero.

Adesso, anche alla luce dei memoriali fatti avere alle parti, ha ammesso di aver premeditato l'omicidio di Giulia così come gli viene contestato dalla procura e che da alcuni giorni precedenti il delitto aveva stilato la famosa «lista delle cose da fare», compreso prelevare contante con il bancomat, da gettare per far perdere le proprie tracce, così come aveva studiato in internet per evitare che la propria auto fosse individuata durante la fuga.

«Non penso al mio futuro, l'unica cosa a cui penso è che sia giusto affrontare questo ed espiare la colpa per quel che ho fatto. Mi sento in colpa a pensare al futuro, di lei che non c'è più», ha detto il giovane rispondendo a una domanda del suo legale Giovanni Caruso. «Non so perché non ho chiesto scusa - ha proseguito Turetta - ma penso che sia ridicolo e fuori luogo, vista la grave ingiustizia che ho commesso. Sarebbe ridicolo dare semplici scuse per qualcosa di inaccettabile. Potrebbero soltanto creare ulteriore dolore per le persone che già provano dolore per quel che è successo, vorrei evitarle e sparire».

L’udienza è durata quasi sei ore e mezzo, con mezz'ora di interruzione. Il presidente Stefano Manduzio ha annullato quella del 28 ottobre, essendo stato esaurito l'interrogatorio di Turetta da parte del pm, delle parti civili e della difesa. Come da calendario, invece, il 25 e 26 novembre ci sarà il dibattito per andare, dopo eventuali repliche, al 3 dicembre per la sentenza. Tutta la seduta è stata ripresa dalla stampa ed è andata anche a tratti in diretta su qualche canale televisivo: «Pubblici siano i giudizi e pubbliche le prove del reato», scrisse Beccaria, «la pubblicità è l’anima della giustizia», dichiarò a sua volta Bentham.

Quindi giusto che il processo sia stato aperto al controllo dell’opinione pubblica. Tuttavia quello da evitare è che in una vicenda già di per sé così drammatica, che ha visto spezzata la vita di una giovane donna, si consolidi, come sta già avvenendo in una fetta di giornalismo colpevolista e voyeuristico, la creazione del mostro da prima pagina.