La V Commissione del Consiglio superiore della magistratura ha sciolto le riserve sulle proposte da sottoporre al plenum per il nuovo Testo unico sulla dirigenza, dal quale dipenderà il futuro delle carriere dei magistrati. L’intento dichiarato è quello di individuare un antidoto alle degenerazioni che hanno portato allo scandalo dell’Hotel Champagne e di definire in maniera chiara, una volta per tutte, i limiti della discrezionalità del plenum, oggetto di un continuo botta e risposta con la giustizia amministrativa. I due testi arrivano dopo un serrato confronto e la richiesta aperta del vicepresidente Fabio Pinelli di una sintesi tra le proposte in gioco, che inizialmente prevedevano, da un lato, un ritocco al testo attualmente vigente e dall’altro una “rivoluzione”, con l’introduzione dei punteggi. La sintesi, alla fine, non c’è stata, almeno non al punto da ridurre ad una le proposte. Ma il lavoro di confronto ha portato ad un riposizionamento delle correnti, con, da un lato, la proposta appoggiata da Area e Magistratura indipendente e, dall’altro, quella sponsorizzata da Magistratura democratica, Unicost e le toghe indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda. Una sorta di prequel della campagna elettorale in vista del rinnovo dei vertici dell’Anm, secondo alcuni, che di fatto potrebbe ridisegnare gli equilibri all’interno del Csm.

La riforma si muove sulle direttive impartite dalla legge Cartabia, in base alla quale il CSM, nel valutare e comparare i profili dei candidati, dovrà prendere «specificamente in esame» i parametri del merito, delle attitudini e dell’anzianità, distinguendo tra le varie tipologie di uffici giudiziari (semidirettivi e direttivi, di primo e secondo grado, di merito e legittimità). La proposta 1 (relatori proponenti Maurizio Carbone, Ernesto Carbone ed Eligio Paolini) non prevede i punteggi e tra i tre parametri attribuisce un ruolo residuale a quello dell’anzianità. Per quanto riguarda il merito, la valutazione si basa sul percorso professionale e sulle precedenti valutazioni di professionalità, con particolare attenzione a eventi oggettivi emersi in procedimenti disciplinari e penali. Le attitudini vengono valutate considerando principalmente l’esperienza nel lavoro giudiziario e le competenze dirigenziali, da valutare in caso di mancanza di criticità significative. Viene superata la distinzione tra indicatori generali e specifici, mentre gli indicatori sussidiari si applicano solo in assenza di indicatori principali, includendo esperienze diverse nel lavoro giudiziario e in altri ambiti. La procedura di selezione prevede un approccio automatizzato finalizzato a limitare la discrezionalità dell’organo di governo. Si valorizza in primo luogo l’esperienza giurisdizionale, seguita da eventuali esperienze dirigenziali. La proposta 2 (relatori proponenti Domenica Miele e Michele Forziati), invece, prevede punteggi fissi e variabili per elementi come esperienza gestionale, organizzativa e di specializzazione. Ulteriori punti possono essere assegnati per incarichi formativi o accademici, aggiornamento professionale e permanenza prolungata in un ruolo direttivo o semidirettivo. A livello di merito, è prevista un’analisi complessiva del lavoro, includendo capacità, diligenza, e applicazione ai progetti organizzativi. Sono assegnati punteggi fissi per valutazioni positive e deduzioni per quelle negative. Per quanto riguarda il parametro delle attitudini, vengono approfondite le abilità organizzative e direttive, con rilevanza per esperienze precedenti in incarichi direttivi. Si considerano competenze organizzative, direzione e specializzazione, attribuendo punteggi variabili per ogni esperienza positiva, con maggiorazioni per risultati eccezionali e rilevanza del lavoro svolto. Include anche un’analisi delle capacità relazionali e di coordinamento. Per quanto attiene l’anzianità, invece, viene valutata solo in caso di parità nei punteggi tra candidati, pesando il numero di anni di servizio. La comparazione tra i candidati avviene con l’utilizzo di un sistema di punteggi distinti che tengono conto dell’incarico da assegnare, tipo di esperienza acquisita, competenze attuali e indicatori oggettivi dell’idoneità. Il sistema premia la permanenza e i risultati ottenuti in incarichi di rilevante responsabilità, con particolare attenzione a esperienze fuori ruolo che rispettino i criteri di coerenza e durata stabiliti.

«Premetto che non mi appassiona tanto il tema delle nomine - commenta Giovanni Zaccaro, segretario di Area - e spero che il CSM, soprattutto in questo periodo, si dedichi soprattutto alla tutela della autonomia ed indipendenza della giurisdizione e dei singoli magistrati. Addirittura auspico uffici con una direzione collegiale e non affidata ad “un capo”. Se così fosse si sdrammatizzerebbe pure il tema delle scelte dei dirigenti. Penso che sia comunque importante dare prevedibilità e leggibilità alle nomine, valorizzare l’esperienza sul campo e stabilire a priori regole chiare e rigide. Non mi convince molto, però, l’idea dei punteggi che da soli non risolvono i problemi: se esiste un punteggio minimo ed uno massimo, è sempre possibile l’arbitrio». Sull’altro versante, la proposta 1, commentano i consiglieri di Unicost in una nota, «mantiene, a nostro avviso, un’eccessiva discrezionalità nella valutazione dei candidati» e rischierebbe di rendere «più netta la distinzione tra una magistratura “direttiva” ed una impegnata esclusivamente nel lavoro giudiziario quotidiano». La proposta 2 «anticipa, invece, fortemente l’esercizio della discrezionalità del CSM al momento dell’individuazione delle “regole del gioco”, introducendo un sistema di punteggi che consentirà una comparazione trasparente e verificabile dei profili dei candidati valorizzando in primis l’esperienza giudiziaria e l’intero percorso professionale». Un tema, quello delle nomine, che «impatta relativamente poco sull’organizzazione degli uffici e sul servizio che si rende ai cittadini, ma molto sulle carriere dei singoli magistrati: le pur legittime aspirazioni dei singoli devono essere calate in un contesto di regole certe, comprensibili e verificabili. Confidiamo che la proposta – che allo stato può contare sul sostegno di noi consiglieri di Unità per la Costituzione e dei consiglieri Mimma Miele, Roberto Fontana e Andrea Mirenda – contribuisca ad arginare il carrierismo interno - conclude Unicost -. Siamo inoltre convinti che si tratti di una risposta seria a quanti sostengono l’incapacità di una seria autoriforma e la conseguente necessità di rimedi radicali quali il sorteggio dei consiglieri o la rotazione dei dirigenti». Miele evidenzia l’esigenza «di chiarezza e leggibilità all’esterno delle decisioni consiliari» che «non significa abdicare alla discrezionalità consiliare, ma portarla su un piano alto, anticipando il momento decisionale della scelta a monte quindi sul criterio, sul parametro da valorizzare, e non a valle, calibrato sul singolo candidato. Discrezionalità consiliare che va gelosamente salvaguardata, ma che deve ritornare ad essere, appunto, discrezionalità, scelta sui valori, e non sulle persone». Secondo l’opinione del consigliere Mirenda, «gli articoli 12 (criteri di valutazione delle esperienze dirigenziali) e 13 (esperienze organizzative e di collaborazione nella gestione degli uffici) della proposta 1, nella loro indifferente ed equivalente enucleazione dei criteri di valutazione dell’attitudine, finiscono per riprodurre la distorsione del Testo unico vigente, consentendo, ancora una volta, la politica delle mani libere, non casualmente perseguita dalle due correnti dominanti in Consiglio».