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Ieri mattina alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della presidente della Corte costituzionale Silvana Sciarra e di presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, si è svolta l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio di Stato, coincisa con la cerimonia di insediamento del presidente Luigi Maruotti. Il nuovo vertice di Palazzo Spada, che il 13 gennaio è stato indicato per l’incarico ricoperto dallo scomparso Franco Frattini, ha presentato la Relazione sull’attività della giustizia amministrativa per il 2022.
La perdita di Frattini, ha detto Maruotti, «ha privato la nazione di una eminente personalità, la giustizia amministrativa di una autorevolissima guida, me e tantissimi di noi di un caro amico». Il neopresidente ha quindi esposto la propria analisi: «Nel 2022 è stato abbattuto in modo consistente l’arretrato, anche in vista degli obiettivi fissati dal Pnrr». In particolare «si è assistito a una sensibile diminuzione delle pendenze rispetto al 2021: presso le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, tale diminuzione, al 31 dicembre 2022, è stata del 21,6%, il che ha consentito di raggiungere l’obiettivo intermedio previsto dal Pnrr». La «riduzione dell’arretrato» ha caratterizzato anche i Tar, presso i quali le pendenze sono diminuite del 12,1%».
Poi un richiamo alla chiarezza e tempestività delle decisioni: «Affinché le pronunce di giustizia siano effettive, e ciò rileva soprattutto per la magistratura amministrativa, esse devono essere chiare, tempestive e di agevole esecuzione. Le nostre decisioni sono date in nome del popolo e si rivolgono essenzialmente alla Pubblica amministrazione e a quanti entrano in contatto con essa», ha ricordato Maruotti. «Un linguaggio chiaro e un argomentare sintetico, che facciano capire con immediatezza le ragioni della decisione, saranno in grado di tracciare le linee interpretative di indirizzo, ponendo in tal modo le basi per una applicazione giusta ed eguale delle regole per tutti i consociati».
Una questione che sta preoccupando molti è il nuovo decreto legge del governo in merito alle controversie relative al Pnrr: l’Esecutivo ha individuato una “camera unica di giudizio” presso il Tar Lazio. Anche con l’idea di garantire uniformità. Ma sulla questione, il massimo vertice della giustizia amministrativa fa notare che «nei processi in materia di appalti pubblici, dove sensibile è la contrazione dei tempi processuali, la durata media di un giudizio è di 111 giorni in primo grado e 159 giorni in appello. Vorrei rimarcare che i tempi sono contenuti anche nelle altre materie, per le quali non sono state introdotte disposizioni speciali. In media, un ricorso in materia di immigrazione è definito in 95 giorni in primo grado e 195 in appello. In tema di lotta alla criminalità organizzata, ad esempio per l’impugnazione di misure interdittive, il giudizio è definito, in media, dal Tar in 130 giorni, e in secondo grado in 142 giorni. In materia edilizia, ad esempio in caso di impugnazione del diniego di rilascio del permesso di costruire, in 114 giorni in primo grado e 190 in secondo. Questi tempi risultano in linea o addirittura inferiori alla media europea». E perciò, Maruotti ritiene che «non siano necessarie ulteriori riforme processuali che incidano sul contraddittorio tra le parti, rischiando altrimenti di ledere il diritto alla difesa, garantito dagli articoli 24 e 111 della Costituzione».
Anche la presidente del Cnf Maria Masi, nel proprio intervento (riportato in versione integrale in queste pagine, ndr), si è soffermata, tra l’altro, su questo punto: «La giustizia amministrativa può contribuire, insieme a tutte le altre istituzioni della Repubblica, a rendere possibile l’attuazione del Pnrr. In questa azione l’avvocatura non manca e non mancherà di dare il proprio contributo, ma ha anche il dovere di manifestare preoccupazione per gli annunciati provvedimenti d’urgenza che a cominciare dall’accentramento di competenza funzionale incideranno in maniera non trascurabile sulle funzioni della magistratura e dell’avvocatura in nome dell’economia».
Stessa preoccupazione viene espressa da Gia Serlenga, presidente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi (Anma) che al Dubbio dice: «Volendo superare, e non possiamo farlo, il vincolo costituzionale dell’articolo 125, che ha delineato un giudice amministrativo territoriale, dovremmo fare i conti con il sovraccarico del Tar centrale e, quello consequenziale, della concentrazione nei relativi ruoli di colleghi neo-assunti che, senza l’esperienza dei colleghi più anziani, devono misurarsi con questioni complesse da risolvere in tempi strettissimi, che pare si vogliano contrarre ulteriormente. Né può tacersi l’assenza di qualsivoglia ragione giustificativa di una nuova competenza funzionale che distolga le questioni dal giudice naturale: la natura del finanziamento, vale a dire il Pnrr? Un’asserita uniformità di indirizzo interpretativo già garantita dal Consiglio di Stato? Sono appalti diversi tra loro, gestiti dalle Regioni, anche con applicazione di norme regionali, sicché i contrasti interpretativi potrebbero addirittura moltiplicarsi», fa notare Serlenga. «C’è anche il tema delle autonomie territoriali. Chiederemo di essere sentiti, ma non certo per difendere posizioni corporative».