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Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni
Nei giorni scorsi qualcosina si è mosso, sulla legge che ripristina il regime sostanziale nel calcolo del tempo d’estinzione dei reati. Ma in realtà, si tratta di manovre che, secondo quanto filtra da Palazzo Chigi, non preludono a un cambio della suddetta parola d’ordine. Detto in altri termini: la riforma della prescrizione non subirà alcuna particolare accelerazione, procederà con un ritmo abbastanza placido da lasciare che nel frattempo la separazione delle carriere venga approvata in via definitiva dal Parlamento e sigillata dal referendum. Poi si parlerà del resto, nuova prescrizione inclusa.
Eppure, alcuni “movimenti” sulla riforma storicamente cara a Forza Italia si sono registrati, nei giorni scorsi. In commissione Giustizia al Senato è stato indicato un relatore del testo, Sergio Rastrelli, di Fratelli d’Italia e segretario di presidenza dell’organismo guidato dalla leghista Giulia Bongiorno. A segnalare il piccolo ma certo non insignificante passo avanti è stato, la scorsa settimana, il Fatto quotidiano. E il giornale diretto da Marco Travaglio ha anche raccolto le immediate reazioni della magistratura, ostile fin dal principio alla nuova prescrizione: in un’intervista pubblicata domenica, il presidente della Corte d’appello di Venezia Carlo Citterio si è fatto portavoce del disappunto comune a tutti i suoi colleghi, cioè a tutti i vertici degli altri 25 distretti di Corte d’appello italiani, e ha detto che se davvero quella riforma fosse approvata così com’è anche da Palazzo Madama, ed entrasse dunque in vigore, ne deriverebbe «un’ecatombe di processi». Refrain ormai arcinoto: secondo i magistrati, le regole che reintroducono un meccanismo analogo a quello previsto dalla riforma Orlando del 2017 (poi “benedetto” dalla più autorevole delle commissioni di studio pronunciatesi di recente, quella nominata da Marta Cartabia e presieduta da Giorgio Lattanzi) inciderebbero in modo esiziale sulla macchina giudiziaria. I 26 presidenti sostennero, in una lettera inviata al guardasigilli Carlo Nordio e al Parlamento, che la “nuova” ( si fa per dire) prescrizione avrebbe reso inestricabile o comunque faticosissimo ridefinire la scadenza dei procedimenti che pendono in secondo grado.
Il problema, nell’ottica dei capi degli uffici giudiziari, è che le norme sulla prescrizione già approvate alla Camera ripristinerebbero il termine d’estinzione del reato calcolato a partire dalla data in cui si presume il reato sia stato commesso, e in tal modo le 26 Corti d’appello sarebbero costrette a ricalcolare gli “expiring times” di tutti i fascicoli, attualmente catalogati invece in base alle norme sull’improcedibilità. Un lavoro extra che rallenterebbe, dicono sempre i vertici degli uffici di secondo grado, il ritmo dello smaltimento, proprio in vista del traguardo degli obiettivi concordati con l’Ue per il Pnrr. Un rischio fatale, insomma, che secondo la magistratura imporrebbe, al testo sulla nuova prescrizione, un correttivo. Una clausola di salvaguardia che escluda, dall’applicazione delle nuove norme sostanziali, i procedimenti già incardinati e calendarizzati in ossequio al regime dell’improcedibilità.
Tutto noto. Anche al ministro Nordio e al suo vice Francesco Paolo Sisto, di FI, che con i sottosegretari alla Giustizia Andrea Delmastro, di FdI, e Andrea Ostellari, della Lega, definirono nei minimi dettagli l’ingranaggio della riforma tra fine 2023 e inizio 2024. Le perplessità dei 26 presidenti furono ignorate, anche perché la norma transitoria da loro invocata avrebbe finito, secondo il governo, per creare ulteriori complicazioni, visto che la prescrizione è, appunto, istituto di diritto sostanziale e prima o poi la Consulta avrebbe censurato una clausola eventualmente concepita per escludere, di quell’istituto, la retroattività. Dopodiché la querelle fu comunque risolta, anzi congelata. Intervenne la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e disse a chiare lettere: fermiamoci, con la legge sulla prescrizione, come su altre riforme non prioritarie. Non mettiamo troppa carne sul braciere.
Ecco, il punto è che l’indicazione di Palazzo Chigi si è appena rinnovata, a dispetto di quanto poteva far credere la nomina di un senatore meloniano come Rastrelli a relatore della riforma.
La presidenza del Consiglio continua a chiedere di tenere dritto lo sguardo sull’unico obiettivo che, in ambito giudiziario, è considerato meritevole di corsie preferenziali: la separazione delle carriere. Tutto il resto, come diceva una pubblicità Fiat degli anni Ottanta, è relativo. Inclusa la nuova prescrizione. Che attenda. Come dovrà attendere ( forse fino alla prossima legislatura) la legge Tortora sulla Giornata per le vittime degli errori giudiziari, bloccata a Montecitorio dopo lo stop imposto proprio dall’Esecutivo.
A Palazzo Madama la prescrizione non sarà proprio messa in freezer, ma dovrà procedere “con juicio”. La presidente della commissione Giustizia Bongiorno non ha ancora chiesto ai capidelegazione dei partiti di formalizzare le proposte per gli esperti da audire. E anche quando lo farà, ci vorranno poi mesi perché si arrivi all’esame degli emendamenti. Diversi mesi. Abbastanza da consentire alla separazione delle carriere di imboccare il rettilineo finale e di correre per l’ultimo sprint, senza altri competitor a disturbarne la volata.