Prima di gridare al “bavaglio” per ogni norma che lambisce l’informazione bisognerebbe tenere a mente una cosa: il diritto di cronaca non ha niente a che fare con il «gossip». A tracciare la linea è il Garante della privacy Pasquale Stanzione, che nell’ultima relazione annuale dell’Autorità ha lanciato un preciso monito sul trattamento dei dati giudiziari. La cui divulgazione può ledere, e non poco, la dignità della persona: soprattutto se privi di reale interesse pubblico.

«La sfida della democrazia è, infatti, proprio nel coniugare la “pietra angolare” del diritto di (e all’) informazione con la dignità personale (di cui la protezione dei dati è peculiare espressione): tanto più in un ordinamento, come il nostro, dalla vocazione intrinsecamente personalista», dice Stanzione. Che nell’ampio documento presentato mercoledì in Parlamento dedica un intero capitolo alla giustizia e all’uso delle intercettazioni fissando un limite invalicabile: la tutela delle garanzie e della persona.

Il ddl governativo di riforma della disciplina in materia di intercettazioni «rafforza sensibilmente, le garanzie di riservatezza dei terzi e, per altro verso, circoscrive l’ambito circolatorio dei contenuti captati, a tutela della privacy di tutti i soggetti (parti e terzi) le cui conversazioni siano acquisite. Se si limita la pubblicabilità delle intercettazioni ai soli contenuti riprodotti dal giudice in propri provvedimenti, si circoscrive notevolmente il novero dei dati suscettibili di circolazione al di fuori del giudizio, ammettendola soltanto per le informazioni rilevanti a fini processuali», spiega Stanzione. «Queste modifiche – sottolinea - sottendono, ovviamente, un bilanciamento tra privacy e diritto di e all’informazione, la cui definizione è riservata alla discrezionalità del legislatore. Ciò che si può auspicare - anche rispetto alla delega legislativa sul divieto di pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia in fase di indagini - è che si contenga la tendenza a scambiare l’interesse sociale della notizia con il gossip».

Il riferimento è alla legge del parlamentare di Azione Enrico Costa, che impone ai giornalisti di riportare il contenuto dell’ordinanza per sintesi: la cosiddetta “legge bavaglio”. Ma nell’ambito delle attività svolte nel 2023, il Garante dà conto anche del «contributo significativo» fornito in sede consultiva, in termini di pareri e audizioni, al processo ordinario telematico e alla costituzione delle infrastrutture digitali per le intercettazioni. Ricordando le nuove disposizioni introdotte dal decreto Intercettazioni (dl 105), che rientrano nel «più ampio disegno di revisione della disciplina delle intercettazioni – in parte ancora in itinere - volto a rafforzare (ulteriormente rispetto a quanto disposto dalle riforme del 2017 e del 2019 e in linea con le indicazioni del Garante) le garanzie in favore dei terzi, indirettamente intercettati». Ovvero la riforma Nordio.

Il primo passo in questa direzione, il dl 105, prevede in particolare un argine alla pesca a strascico: cioè, alla facoltà di utilizzare le informazioni raccolte attraverso le intercettazioni condotte per un determinato reato al fine di cercarne altri. Un metodo a cui fa esplicitamente riferimento il Garante, secondo il quale «si dovrebbero rafforzare ulteriormente le garanzie per le intercettazioni mediante captatore, la cui applicazione sta mostrando tutti i limiti della delega, alla tecnica, di uno strumento potenzialmente “onnivoro” quale il trojan, tanto più se utilizzato “a strascico”».

Il richiamo al rafforzamento delle tutele ricorre nell’intera relazione, nei passaggi relativi alla digitalizzazione della giustizia e al rapporto tra privacy e diritto di cronaca. Anche per ciò che riguarda il diritto all’oblio e la gestione dei motori di ricerca. In questi casi a indicare la rotta è la Corte di giustizia dell’Unione europea, il cui orientamento è condiviso anche dal legislatore italiano «che, tramite recenti riforme dell’ordinamento giudiziario penale, ha indicato, quale via di elezione, quella di minimizzare il trattamento di dati giudiziari al fine di evitare che un utilizzo improprio di questi possa dare vita a fenomeni di spettacolarizzazione che in qualche modo anticipino o influenzino il corso degli accertamenti di competenza della magistratura». Insomma: basta processo mediatico, dice il Garante. Che con parole chiarissime spazza via il diritto alla gogna. E pone un limite all’eccessiva esposizione di tutti i soggetti coinvolti, comprese le vittime. D’altronde gli altolà non sono mancati, nell’ultimo anno: l’Autorità è intervenuta a più riprese per spezzare la catena di morbosità alimentata dai media su alcuni fatti di cronaca. Come è successo la scorsa estate, quando sono state divulgate le generalità della ragazza di Palermo che aveva denunciato uno stupro di gruppo.