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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio
Dopo giorni di tensioni e di tentativi (malcelati) di contenimento da parte dei suoi colleghi di governo, il ministro della Giustizia Carlo Nordio prova a ricucire con i magistrati. Raccogliendo, da una parte, l’invito del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha ricordato il dovere di difendere l’indipendenza e l’autonomia delle toghe, e dall’altro quello della sua maggioranza - a partire dalla presidente Giorgia Meloni - a non andare allo scontro con la magistratura.
L’occasione è offerta dall’inaugurazione dell’anno giudiziario, durante la quale il Guardasigilli esalta le riforme già fatte e ribadisce l’intenzione di portarne a casa di nuove, paragonando la giustizia ad un «grande cantiere sempre aperto». Un cantiere che, sin dal suo insediamento, ha però rappresentato motivo di scontro con gli ex colleghi, che di separazione delle carriere e riforma delle intercettazioni, tanto per citare due must del ministro, non ne vogliono sentir parlare. E Nordio, infatti, nel suo discorso non ne fa cenno. Parla di digitalizzazione, di concorsi per colmare la grave carenza di magistrati, di tempi del processo. Nemmeno una parola sui temi caldi del momento, che il ministro ha affrontato davanti a Camera e Senato più volte, ribadendo la volontà di rivoltare la giustizia come un calzino, tanto che sono già diverse le proposte di legge già depositate e pronte per essere calendarizzate.
In Cassazione, dov’è circondato dai vertici di quell’ordine giudiziario del quale fino a non molto tempo fa faceva parte, il ministro si concentra invece sulla sfida dei fondi del Pnrr, con i quali «conferire al servizio giustizia un volto nuovo, in sintonia con le trasformazioni rapide, e talvolta repentine, dei nostri tempi». Una priorità che necessita della «leale collaborazione» e del «costruttivo dialogo con tutti gli attori, nel rispetto delle prerogative di ciascuno». Ovvero l’accademia, ma soprattutto magistratura e avvocatura, che rappresentano insieme «la linfa essenziale per la riuscita di ogni progetto innovatore».
Proprio per tale motivo, spiega il Guardasigilli, «ogni futura riforma si comporrà attraverso l’ascolto di tutte le voci del sistema giustizia», comprese le toghe, «la cui autonomia e indipendenza costituisce “un pilastro della nostra democrazia, garantita dalla Costituzione”», dice citando Mattarella. Principi «inderogabili», rivendicati anche dal Nordio magistrato, che lancia un messaggio distensivo agli ex colleghi: «Se non avessi creduto e non credessi nella loro sacralità, non avrei rivestito la toga, come spero di aver fatto, con dignità e onore».
Insomma, un modo per dire: sono uno di voi, non un nemico. Nessuna intenzione di fare la guerra, bensì una mano tesa per chiudere la polemica e stemperare anche le tensioni all’interno della maggioranza, oltre a quelle con le toghe. Anche perché tra le riforme ancora da attuare c’è quella dell’ordinamento giudiziario, che necessariamente richiederà un confronto con la magistratura associata. Un passaggio importate, dopo anni di scandali che richiedono di «proseguire nel percorso di “rivitalizzazione delle proprie radici deontologiche”, con l’auspicio di realizzare “quel profondo processo riformatore e quella rigenerazione etica e culturale”» invocate dal Capo dello Stato.
Il percorso riformatore, almeno stando agli annunci del ministro, terrà insieme due principi: sicurezza, da un lato - così come richiesto da Fratelli d’Italia e Lega - e garanzie di uno Stato di diritto dall’altro. Un «binomio inscindibile» anche quando si parla di carcere, perché «salvi i casi più gravi, la doverosa esecuzione della pena deve costituire il presupposto per il ritorno alla vita civile del detenuto». Dunque più lavoro, dentro ma anche fuori, dopo il carcere. E in tal senso arriva l’unico accenno al fenomeno dei suicidi in carcere, mai tanto penoso come nel 2022: «Sono in atto riflessioni di intervento ad ampio spettro nello sforzo di prevenire lo straziante fenomeno dei suicidi - conclude - che costituisce, per la nostra etica e per la nostra civiltà giuridica, un intollerabile fardello di dolore».