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Resta in bilico la scelta del guardasigilli: il no di Meloni ai bis dei ministri di Conte blocca l’avvocata leghista alla Pa ma la rilancia per via Arenula
Rimane sostanzialmente una corsa a due quella verso via Arenula, dove a “contendersi” la poltrona di Guardasigilli sono l’ex magistrato Carlo Nordio, eletto tra le file di Fratelli d’Italia, e la responsabile Giustizia della Lega Giulia Bongiorno. Una corsa che vede in pole position l’ex toga, indicata da Giorgia Meloni come ministro ideale ben prima del risultato elettorale, cosa che dirotterebbe l’avvocata leghista alla Pubblica amministrazione. Ma le trattative sono ora “complicate” dal diktat della leader di Fratelli d’Italia: «Nessuno può stare dove già è stato». Via Arenula, tre nomi sul piatto Ma il lodo Meloni complica i giochi
Nordio favorito, seguito da Bongiorno: difficile un suo ritorno alla Pa. Rispunta anche Sisto
Rimane sostanzialmente una corsa a due quella verso via Arenula, dove a “contendersi” la poltrona di Guardasigilli sono l’ex magistrato Carlo Nordio, eletto tra le file di Fratelli d’Italia, e la responsabile Giustizia della Lega Giulia Bongiorno. Una corsa che vede in pole position l’ex toga, indicata da Giorgia Meloni come ministro ideale ben prima del risultato elettorale, cosa che dirotterebbe l’avvocata leghista alla Pubblica amministrazione. Ma le trattative sono ora “complicate” dal diktat della leader di Fratelli d’Italia: «Nessuno può stare dove già è stato». Ovvero: nessuno riprenderà possesso di un dicastero che ha già “guidato”. Il che, dunque, escluderebbe un ritorno di Bongiorno alla Pa, posto occupato durante il governo gialloverde. Lo scopo del cosiddetto “lodo Meloni” non è sicuramente quello di far fuori l’ex ministra leghista, ma di evitare che Matteo Salvini rimetta piede al Viminale, posto per il quale il leader della Lega scalpita sin dalla fine del Conte I, che si concluse con un mojito del Papeete. E ciò chiuderebbe la strada anche ad un altro big della Lega, ovvero Giancarlo Giorgetti, che si vedrebbe negare un ritorno al Mise, oltre che un eventuale posto da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Le richieste del Carroccio, dopo il consiglio federale di ieri, sono però chiare: l’Interno deve tornare al partito di via Bellerio. E tra gli altri dicasteri che interessano alla squadra di Salvini ci sono anche le Infrastrutture, l’Agricoltura, gli Affari regionali e le Riforme per l’autonomia. Insomma, la Giustizia rimane, almeno in apparenza, fuori dall’elenco. Ma pensare di destinare Bongiorno a qualcosa di meno che un ministero appare ai membri della coalizione poco credibile. «Non credo che dopo aver fatto il ministro possa accettare di fare altro», si lascia sfuggire un deputato.
Difficile, dunque, immaginarla nel ruolo di sottosegretario in via Arenula e men che meno alla guida di una delle due Commissioni. Ruolo al quale Nordio, ormai da tempo, si dice invece interessato: «Per la mia preparazione tecnica - ha detto più o meno in tutte le interviste - mi riterrei più adatto in commissione Giustizia, perché è lì che si elaborano le leggi». Ciò senza però escludere un possibile ruolo da ministro, in quanto «avendo visto la situazione disastrata degli uffici giudiziari soprattutto del mio Veneto, la tentazione di entrare al ministero e di colmare rapidamente gli organici e di implementare le risorse, sarebbe molto forte». Il tutto mantenendo la cautela del caso: «La nomina - ha sempre chiosato spetta al Presidente della Repubblica». L’importante è, dunque, stare nella stanza dei bottoni, qualunque essa sia, per poter cambiare la giustizia, a partire dagli effetti che ha sull’economia del Paese. Uno scopo raggiungibile, ad esempio, imprimendo una accelerazione della durata dei processi - la cui lentezza riduce gli investimenti e incide negativamente sul Pil -, riducendo la mole di leggi e creando un rapporto più facile con la Pubblica amministrazione. Aspetti che stanno molto a cuore a Meloni, intenzionata, in questo momento, a incidere sul versante economico, prima che su altri aspetti.
Ma tra gli addetti ai lavori, tutti in attesa che la premier in pectore dia indicazioni sulla squadra di governo, circola anche il nome del forzista Francesco Paolo Sisto, sottosegretario alla Giustizia nel governo Draghi e indicato come altro possibile candidato a raccogliere l’eredità della ministra Marta Cartabia. Un nome che garantirebbe anche un rapporto più tranquillo con la magistratura, dati i trascorsi polemici di Nordio con gli ex colleghi, e che avrebbe il profilo tecnico, oltre che politico, ricercato dalla leader di Fratelli d’Italia. Ma nel caso in cui non dovesse superare i colleghi nella corsa verso il ministero, Sisto rimane in lizza per il ruolo di sottosegretario alla Giustizia, ammesso che il lodo Meloni non riguardi anche questo tipo di posizioni.
Sono dunque diversi i nodi da sciogliere. Tra le poltrone da assegnare ci sono quelle delle presidenze delle commissioni Giustizia - oltre ai nomi già indicati c’è anche quello del forzista Pierantonio Zanettin - e a stretto giro bisognerà ragionare sui nomi dei laici da indicare per il Consiglio superiore della magistratura, nonché quello dei sottosegretari. Tra questi ultimi, ieri il Mattino ha inserito anche Catello Maresca, magistrato e consigliere di minoranza a Napoli, che può vantare un rapporto diretto con Meloni, pur avendo rifiutato i simboli del centrodestra durante la campagna elettorale per le comunali. Un profilo distante da quello indicato da Nordio, che al Dubbio ha chiarito la sua idea sui rapporti tra politica e toghe. «Ho sempre detto che un magistrato in servizio non dovrebbe mai candidarsi - aveva evidenziato -, soprattutto se ha indagato su politici, per non suscitare due sospetti: di aver strumentalizzato le sue indagini per far carriera in Parlamento, e di utilizzare in modo improprio le informazioni sensibili di cui potrebbe essere in possesso. In ogni caso chi entra in politica non può poi rivestire la toga».