Di giorni così tesi, fra governo e magistrati, non se ne ricordano molti, e non solo nella legislatura in corso: è dalla fine dell’era Berlusconi che non si raggiungeva una soglia simile. Non c’è da stupirsi. Il nodo è semplice: per la prima volta dai tempi di Giuliano Vassalli, dall’introduzione del codice accusatorio voluto dal guardasigilli ed eroe della Resistenza, la separazione delle carriere sembra davvero possibile.

Nasce tutto da lì. E sarà una campagna referendaria durissima. Di fatto già iniziata. Con il serrate le fila fra giudici e pm, da una parte. E con le iniziative assunte, dall’altra parte, sia dalla maggioranza sia dall’avvocatura, e in particolare dall’Unione Camere penali, che ha avviato la costituzione di un primo, embrionale “comitato per il sì” alla riforma sulle carriere dei magistrati.

Di mezzo ci vanno le altre riforme della giustizia. Incluse quelle relative ai migranti. E inclusa l’introduzione, in arrivo nel Consiglio dei ministri di venerdì, di una nuova sanzione disciplinare per i magistrati che, pur in presenza di “gravi ragioni di convenienza”, non si astengono da un certo procedimento, civile o penale che sia. Così recita l’articolo 4 del decreto Giustizia rinviato ieri ma già pronto per la riunione del governo in programma venerdì. 
È una battaglia di un conflitto più generale. Ma il guardasigilli Carlo Nordio è convinto che quel conflitto non debba degenerare in rissa: «Spero che si abbassino molto i toni da entrambe le parti», ha detto a un evento sull’intelligenza artificiale organizzato a Roma dal Sole-24 Ore, «quello che viene definito come conflitto diventi solo un confronto di opinioni, anche franco, accesso e polemico ma nel rispetto delle posizioni reciproche».

Il ministro della Giustizia ha aggiunto una puntualizzazione, dal notevole significato politico, a proposito dell’illecito disciplinare messo a punto per i pm e, soprattutto, per i giudici che non si astengono da procedimenti relativi a questioni sulle quali hanno già espresso valutazioni più complessive: «Il magistrato ha il diritto e il dovere di dare un parere tecnico sulle leggi perché le deve applicare: quello che i magistrati non possono e non devono fare è entrare nel merito politico delle leggi».
Sembra una precisazione ininfluente rispetto alle tensioni che il decreto Giustizia ha sprigionato. E invece sono parole che aprono uno spiraglio. Nordio teme che se la situazione degenera, si arriverà al referendum sulla separazione delle carriere in un clima di caccia alle streghe nei confronti dei magistrati. Un’esasperazione che, dal punto di vista del ministro, può compromettere l’esito della consultazione.

Venerdì, mentre il Consiglio dei ministri approverà il decreto Giustizia e la stretta sui magistrati che non fanno un passo indietro, inizierà, nell’aula di Montecitorio, la discussione generale sulle “carriere”, sul ddl costituzionale firmato proprio da Nordio. Ecco: quel nuovo illecito disciplinare non dovrà, secondo il guardasigilli, suonare come una vendetta. E per evitare che finisca così, il titolare della Giustizia confida in un interlocutore schierato su posizioni apparentemente inconciliabili con quelle dell’Esecutivo: Giuseppe Santalucia.

Il presidente Anm ha già detto cosa pensa della nuova norma che sarà innestata nel codice disciplinare delle toghe (il decreto legislativo 109 del 2006): è partito dalla constatazione che con l’abolizione dell’abuso d’ufficio è venuto meno l’obbligo di astensione, per i magistrati, a fronte di eventuali conflitti d’interesse. «È una cosa molto tecnica», ha osservato Santalucia. Ma è proprio così: se non c’è il reato che faceva paura ai sindaci, ma che era applicabile pure a giudici e pm, viene meno il presupposto penale dell’ipotesi disciplinare, contestabile a un magistrato, di aver sovrapposto funzione pubblica e interesse personale.

Santalucia chiede di limitare il nuovo illecito al «conflitto d’interessi». E lancia così un assist a Nordio. Il nodo, ricorda il vertice dell’Associazione magistrati, è evocato nel «preambolo del decreto legge». Ed è vero: nelle premesse dell’articolato c’è proprio un passaggio che recita testualmente: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di modificare la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati in ragione dell’intervenuta abrogazione del reato di abuso d’ufficio, allo scopo di parificare espressamente, a fini di rilevanza disciplinare, i casi di obbligo di astensione tipizzati dalla legge a quelli in cui l’astensione è soggettivamente rimessa alla sussistenza delle gravi ragioni di convenienza...”.

Santalucia suggerisce, di fatto, di richiamare quelle parole nella formulazione della nuova fattispecie disciplinare, cioè all’articolo 4 del decreto legge. Nordio ha lanciato oggi quel primo segnale : «Il magistrato ha il diritto e il dovere di dare un parere tecnico sulle leggi, ma non deve entrare nel merito politico» delle norme. Sembra un primo passo verso una mitigazione del decreto. Paradossalmente, il problema è politico: vanno convinti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il leader della Lega Matteo Salvini e la stessa premier Giorgia Meloni. Tutti intenzionati a contrastare pronunce sui migranti ritenute politicamente orientate.

Non è facile, per Nordio. Ma rispetto all’opportunità di riportare la dialettica con le toghe su un piano più disteso, il ministro sa di poter contare anche su una sponda interna: Forza Italia e il vicepremier Antonio Tajani. Non vuol dire che venerdì, nel decreto, la norma sarà certamente riscritta. Ma magari, nell’iter parlamentare di conversione in legge, gli azzurri potrebbero spingere per una definizione meno vaga e “minacciosa”, per le toghe, del nuovo illecito disciplinare.

Non basterà a rendere pacato il confronto sulla separazione delle carriere. Ma magari potrà contribuire a evitare che la politica giudiziaria degeneri, di qui al referendum sulla riforma Nordio, in una guerra senza quartiere.