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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio
Sarà un confronto chiarificatore. Oggi a via Arenula, alle 10.30, il guardasigilli Carlo Nordio riunirà avvocati e magistrati. Da una parte il Cnf e l’Unione Camere penali, che ha chiesto un tavolo non solo tecnico ma innanzitutto “politico” sulle riforme, dall’altra l’Anm, con la quale mercoledì scorso si era sfiorato l’incidente diplomatico, dopo che era circolata la notizia di una commissione di studio sul processo penale già nominata con decreto del capo di Gabinetto Alberto Rizzo e da cui, inizialmente, il “sindacato” dei giudici era rimasto escluso. In realtà sul rapporto tra Nordio e la magistratura e anche, nello specifico, tra Nordio e Giuseppe Santalucia, che dell’Anm è il presidente, si gioca una partita non marginale nella politica giudiziaria di questa legislatura. Intanto perché è con l’Anm che - come ormai è chiaro - si potrebbe surriscaldare il confronto sulla riforma più contrastata, la separazione delle carriere. Poi perché proprio Santalucia è l’estensore materiale dell’ultima riforma delle intercettazioni, almeno della “base” passata agli annali come riforma Orlando ( l’attuale leader Anm se ne occupò quando era capo del Legislativo con Andrea Orlando guardasigilli, appunto). E infine perché il rapporto fra il ministro e l’ordine giudiziario da cui proviene sarà una delle chiavi decisive per decifrare l’intera strategia del governo sulla giustizia.
Nordio ha lavorato in magistratura per 40 anni tondi ma non è mai stato parte della “governance” togata. Non vanta presenze negli organi direttivi dell’Anm, non è mai stato consigliere Csm, e anzi coi probiviri dell’Associazione ebbe, a inizio anni Novanta, un ormai celebre scontro per le proprie valutazioni sul pool di Mani pulite. Ma l’attuale guardasigilli sente profondamente l’appartenenza alla magistratura in quanto tale. Lo ribadisce spesso. E starà a lui far valere questo sentimento, questa sua intima appartenenza all’ordine giudiziario come elemento di rassicurazione e garanzia. A Bari, una settimana fa, il ministro della Giustizia ha offerto un’intensa testimonianza del rapporto con il mondo da cui proviene. È intervenuto in Corte d’appello per la cerimonia in cui l’aula
della prima sezione è stata intitolata a Eustacchio Sisto, avvocato, padre del viceministro della Giustizia Francesco Paolo.
«Vorrei ribadire, nonostante le polemiche che si sono succedute in questi ultimi mesi, che la mia venerazione per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura è assoluta e incondizionata», ha detto Nordio. Ha insistito sul concetto: ha spiegato di vivere il «rispetto» e la «venerazione» per l’ufficio del magistrato a prescindere dalle «differenze nella interpretazione e nell’elaborazione di leggi che possono essere difformi a seconda dell’indirizzo politico, confermato dalla democrazia elettorale». Ma quel sentimento persino di deferenza verso la toga resta, tanto più, ha aggiunto il guardasigilli, per chi come lui l’ha indossata «per oltre 40 anni, spero con dignità e onore». Allo stesso modo Nordio ha ribadito - nel suo intervento al fianco del presidente della Corte d’appello di Bari Franco Cassano e dell’ «amico Sisto» - di appartenere a una «famiglia di avvocati», giacché hanno esercitato la professione legale suo padre e suo zio: «Sono particolarmente sensibile alle istanze del mondo forense, però potrei dire che sono per metà avvocato ma interamente magistrato».
Nella cerimonia è stato intenso e naturalmente commosso anche l’intervento di chi, come Sisto, ha invece raccolto il testimone del papà avvocato, come lo stesso viceministro ha ricordato: il numero due di via Arenula ha ripercorso la vicenda del genitore che «lavorava come apprendista meccanico in un opificio per la raffineria del petrolio, e nemmeno poteva studiare, se l’avessero scoperto coi libri sarebbe stato licenziato. Doveva nascondersi, poi ha preso la laurea magistrale, quindi quella in Legge ed è diventato un penalista e un maestro per generazioni di avvocati».
Nordio ha ascoltato, partecipe della storia rievocata dall’ «amico Sisto», sospeso anche emotivamente fra magistratura e avvocatura, ma «devoto», per ragioni diverse, a entrambe. Un coinvolgimento che può tramutarsi in vulnerabilità così come in una speciale capacità di dialogare con entrambe le parti del sistema giustizia. E già oggi, nel tavolo a via Arenula, Nordio dovrà iniziare a mettere a frutto questa sua doppia appartenenza.